giovedì 29 novembre 2007

Magic Night


Ieri sera ero al Forum di Assago, e suonavano, siori e siore, Bruce Springsteen & The E Street Band.

A dirla tutta, io al Forum ero già intorno alle 23 di martedì sera, e quindi ho partecipato alla grigliata tra centocinquanta e rotti springsteeniani pazzi, all'appello delle 3, a quello delle 6 con annessi vigili del fuoco, a quello delle 8, alla coda delirante e al freddo dinnanzi ai cancelli, alla distribuzione degli agognati braccialetti per il pit e all'ingresso su e giù per le scale - grazie a chi ha progettato le entrate del palazzetto - rischiando caviglie, ginocchia, vita. Che diamine, se si vuol fare una cosa la si fa bene, qui mica siamo signorine.

Comunque, dicevo, suonavano Bruce Springsteen & The E Street Band. Ed è stato un signor concerto. Il mio dodicesimo, che non saprei al momento infilare nella mia personalissima graduatoria, ma comunque due ore e venti tirate di grande musica.


Inizio al fulmicotone, con Radio Nowhere seguita a ruota da The ties that bind e Lonesome day, e poi, dopo pochi pezzi, ecco che infila una Adam raised a Cain pazzesca e cattiva, con le chitarre elettriche a inseguirsi rabbiose. E poi, dopo qualche pezzo, una breve introduzione, che sembra quasi una dedica, e poi partono quelle note dal piano di Roy Bittan. In quel momento, come faccio spesso in questi casi quando arriva una canzone davvero speciale, non ho neanche cercato lo sguardo di qualche fan di vecchia data, sono rimasto io stesso senza parole, pelle d'oca, quasi i lucciconi. Perchè Incident on 57th street è una delle mie dream songs, difficile da sentire dal vivo, figuriamoci full band e in Italia. Ed è stata pazzesca, sentita, bellissima, e, come se non bastasse, seguita a ruota da E Street shuffle.
E poi ancora musica, senza un attimo di pausa, fino al trittico Tenth Avenue Freeze-Out, Thunder Road, Born to run, una dopo l'altra, con un'altra pioggia di emozioni, per poi chiudere il sipario con Dancing in the dark e American Land, con tanto di testo a scorrere sugli schermi giganti.

Ma al di là dei titoli, le emozioni sono state il cuore pulsante della serata di ieri. Bruce era carico a mille, e il pubblico (almeno, parlo per i 500 del pit, me compreso) ha risposto più che bene, con il trasporto, l'affetto, l'energia dei momenti migliori. Avendo già in mente la prossima tappa italiana certa, ovvero San Siro, 25 giugno 2008.

Ma prima, per un buon numero di pazzi fans italiani - e io sarò tra questi - ci sarà la trasferta a Parigi, per il concerto del 17 dicembre, appena in tempo per un regalino di natale targato Springsteen.

lunedì 26 novembre 2007

Mondo ladro

Oggi mi hanno rubato la bici.

Ma non in giro, in qualche quartiere malfamato, in un banlieue di Parigi in fiamme, nel Bronx. No, nel cortile di casa. Dove, come sempre, l'avevo lasciata, nella rastrelliera delle bici, senza catena. Dove è rimasta per tutta l'estate, senza mai un problema.

Solo che, tac, si vede che con questo freddo qualcuno ha sentito il bisogno di una bici nuova.

Nuova, poi, parliamone. Aveva almeno quindici anni, freni che andavano per i fatti suoi, manubrio un po' ballerino e gomme da rimettere a posto. Ma non è quello il punto.

Mi fa girare vorticosamente gli zebedei il fatto che qualcuno, causa il fatto (imbecille, da parte di ogni condomino) che il portone è raramente chiuso, più spesso accostato, è entrato in pieno giorno nel cortile, ha inforcato la bici che gran parte delle persone sanno essere mia (non siamo in mille nel palazzo), e con tutta calma si è dileguato. E la cosa mi fa alterare ancora di più nel momento in cui penso che oggi è toccato alla bici, ma domani sta gente potrei ritrovarmela in casa, o per lo meno che cerca di entrarmi in casa.

E questo a Vercelli, non in chissà quale metropoli colma di pericoli e criminali.

Rimane il fatto che, oltre alla feroce ira che mi attanaglia, adesso sono anche senza bici. Vabè che fa freddo e che la usavo di meno in meno, però, signori, un po' di rispetto.

E quelli là parlano di welfare, popolo, libertà, ectoplasmi, proporzionali, pipim pipum e pipera.

Ci sono ancora i ladri di biciclette di De Sica, va là.

mercoledì 21 novembre 2007

Incipit

I.

Lo scroscio continuo della pioggia, quasi un respiro a scandire la notte, non la lasciava dormire.
A nulla era servito il bicchiere di latte - tiepido, rigorosamente scaldato in silenzio - dell'una e mezza, i venti minuti di inutile chiacchiericcio televisivo delle tre, lo scorrere dei messaggini sul cellulare delle quattro e un quarto, e nemmeno, prossimi più che mai all'alba, stava avendo alcun effetto quello sguardo lanciato verso la metà vuota del letto, le braccia gettate verso il vacuo morbido del cuscino, in cerca di conferme o smentite per cui non era sicuramente l'ora.
stanca di dare la caccia alle ombre del buio, sollevò lentamente il lenzuolo, con una smorfia di stanchezza e malavoglia, e stese piano la mano sotto il pigiama a pois, fermandosi sulla pancia, giocando con l'indice intorno all'ombelico, e poi ancora, appoggiando entrambe le mani ai due lati di quel piccolo centro del mondo.
il trillo elettronico, asettico e fastidioso, la svegliò dopo poche ore - minuti - di sonno, trovandola come si era addormentata, la maglietta appena sollevata, le mani sulla pancia, ferma, serena, come una bimba.

venerdì 16 novembre 2007

Inciso nel legno


Non sprecherò parole sull'approvazione della Finanziaria nè sul toccata e fuga di Dini, lasciamo perdere.
E, già che ci siamo, non butterò via righe nemmeno sulla truce vicenda di Meredith, Amanda, Nubumba e compagnia bella, che quasi potremmo ribattezzare "Garlasco 2 - Il sequel", per la sete di cronaca nera che hanno giornali e Tg.

Oggi parliamo di cose serie.

Ieri ho ripreso in mano la mia chitarra.

Non quella acustica, che bene o male suono appena ho un attimo di tempo (e ultimamente sono pochi), ma quella elettrica, verso la quale, lo ammetto, sono sempre stato un po' pigro.
Perchè bisogna prenderla, estrarla con cura dalla custodia, tirare fuori i cavi, inserire il jack, accendere l'accordatore, controllare che ogni corda suoni nel modo giusto, accendere l'ampli, settare riverbero, bassi e tutto il resto nel modo congeniale e poi, finalmente, attaccare il primo accordo.

Senza contare che, essendo della vecchia scuola, non concepisco minimamente quelle sottospecie di accrocchi moderni, per lo più prodotti in Cina o chissà dove, con materiali scadenti o comunque di seconda scelta. Per quanto riguarda le elettriche, il mio sguardo ristretto mi spinge solo e soltanto verso Fender, avendo un enorme rispetto per la rivale di sempre Gibson. E basta, le altre marche non mi piacciono, non mi attirano, non mi interessano.
Tornando alla Fender, il mio essere totalmente snob e integralista mi spinge - di nuovo - solo e soltanto verso le chitarre prodotte negli USA, secondo tutti i crismi: legno giusto e massiccio, e quindi, va da sè, pesante.

Come ho detto prima, la pigrizia fa da padrona, ed è per questo che, a parte momenti particolarmente brillanti, ho - mea culpa - trascurato un po' la mia chitarra elettrica. Che poi, altri non è che una Fender Telecaster 1952 Reissue, mica bruscolini.

Comunque sia, ieri l'ho ripresa in mano, l'ho accordata, ho settato l'ampli, ho inforcato la tracolla e ho fatto un paio di pezzi, con alterna fortuna.

Ma dà sempre e comunque una grande soddisfazione, quando colpisci con il plettro la prima corda, e trasformi quel brusio di fondo dell'amplificatore in musica.
E dà ancora più soddisfazione quando una chitarra riesce a trasmettere a chi la suona un minimo di vissuto. Nella mia mente malata, non attraverso qualche macchia che, prima o poi, va a sporcare il manico, e nemmeno negli evidenti segni che il passaggio del plettro lascia sul battipenna. No, quello che fa sorridere di più è quella serie di piccoli e grandi graffi e segni che si trovano sulla parte posteriore della chitarra, lasciati dalle mille botte e sfregamenti contro la cintura. Sono unici, ricordi di tentativi, sudore, accordi sbagliati, riff gettati in fumo all'ultima nota, brani perfetti, assoli distorti, arrangiamenti deliranti, punk saltellanti, rock duri e via dicendo. In ognuna di quelle piccole tacche c'è qualcosa di irripetibile, unico e terribilmente personale.

Inciso nel legno della mia Fender.

domenica 11 novembre 2007

Il calcio è un'altra cosa

Solitamente aspetto qualche giorno prima di commentare un fatto di cronaca, lascio che le acque si calmino un attimo e che i dettagli prendano contorni più definiti.

Stavolta no.

Perchè stavolta si è davvero esagerato, e la situazione, già pazzesca, sembra del tutto fuori controllo.

Facendo un rapido riassunto di ciò che è successo: poco dopo le 9 di domenica mattina, una macchina di tifosi juventini in viaggio verso parma e una di laziali diretti a milano si incontrano in un autogrill vicino ad Arezzo. Qualche sfottò, i toni un po' accesi, forse qualche botta e poi finisce tutto lì. Dall'altra parte della strada, con almeno quattro corsie di autostrada in mezzo, dall'autogrill opposto, un poliziotto ("per sedare la rissa", diranno poi, nell'ignominia) si lascia prendere la mano e spara due colpi di pistola, uno dei quali colpisce Gabriele Sandri, 28 anni, semiaddormentato in una macchina dopo aver fatto il dj per buona parte della notte.

E già questa sarebbe una tragedia di per sè, con dei colpevoli, altro che tragico errore, come diranno poi. Ma la situazione si complica ulteriormente quando cominciano a diffondersi i primi dati sulla faccenda, che parlano di un giovane morto "in seguito ad una rissa tra ultrà" e nefandezze simili, falsità che nascondono il vero da una parte e aizzano le tifoserie.

Si decide di rinviare Inter-Lazio a data da destinarsi, e nel frattempo si diffonde la notizia ad uccidere Gabriele è stato un poliziotto. Tutte le tifoserie si uniscono contro le Forze dell'Ordine, e giù patatrac.

Mentre tutto questo accade, le alte sfere nicchiano. I questori rilasciano dichiarazioni vaghe. Nessuno se la sente di prendere decisioni. E, soprattutto, si confonde la triste morte di un ragazzo, avvenuta per un errore umano che non ha niente a che fare con il pallone, con la domenica calcistica, buttando dentro quasi tutti i moralismi possibili.

E, naturalmente, visto che è tutto fuori controllo e che è troppo difficile, ovvio, cercare un modo per aumentare la sicurezza dentro e fuori gli stadi, si comincia a dire che sì, la cosa migliore probabilmente è vietare ogni trasferta a ogni tifoseria, e quindi consentire l'accesso allo stadio ai soli tifosi casalinghi. In pratica, si costringerebbero migliaia di persone a starsene sedute sul divano a guardare la partita.

Guardiamoci in faccia. Con tutti gli interessi, tutti gli sponsor, tutti i soldi che girano intorno al pallone, una soluzione del genere è davvero praticabile? E' il segreto di Pulcinella, come quando avevano minacciato di sospendere sine die il campionato dopo la morte di Raciti.

Ma in Italia sono solo capaci di propinarci soluzioni di comodo di questo tipo, lanciando il sasso e nascondendo la mano. O sparando colpi di pistola in aria.

Il calcio è un'altra cosa.

giovedì 8 novembre 2007

Dollaro nero

Dal momento che ormai da giorni ogni TG ne parla in apertura, mi sembra quasi doveroso spendere due parole sui due argomenti caldi dell'economia di oggi: impennata del prezzo del petrolio e crollo del valore del dollaro.

Ci sono ormai pochi dubbi, il prezzo del petrolio è destinato a superare i 100 dollari al barile in un futuro molto prossimo, con un conseguente (ma non è così semplice) impennarsi del prezzo di benzina e gasolio nei nostri cari distributori. Non è così semplice, dicevamo, e proviamo a spiegare il perchè.

In breve, il costo che il petrolio grezzo ha oggi sul mercato si ripercuoterà realmente sul prezzo della benzina al dettaglio in un tempo quantificabile circa in sei mesi: in questo lasso di tempo, il petrolio deve essere comprato dalle varie compagnie, trasportato, sdoganato, raffinato, messo nelle cisterne e quindi consegnato al distributore.
Già. E nonostante questo invece, se oggi il costo del petrolio sale, domani salirà il prezzo dal benzinaio sotto casa. E andrebbe tutto bene, se la stessa cosa si potesse dire del ribasso. Ma è proprio lì che casca l'asino, perchè nel momento in cui le quotazioni scendono - miracolo! - tutti giù a lamentarsi che no, in realtà le cose non stanno così, perchè sei mesi fa il prezzo è salito, poi è sceso, poi è salito ancora, e mica si puù abbassare il prezzo solo perchè ieri il costo al barile è sceso...

Ci prendono in giro, lo sappiamo tutti. E quello che ci prende in giro più di tutti è lo Stato. Perchè sul prezzo che noi paghiamo per ogni litro di benzina, o gasolio, gravano ancora oggi delle accise che ormai dovrebbero essere pensionate o dimenticate, come ad esempio quella tirata fuori nel 1935 per la guerra in Abissinia e mai cancellata.
Risparmierò la storia delle accise, basti sapere che erano delle imposte sul carburante che i vari Governi hanno aggiunto al prezzo della benzina "una tantum" per cercare fondi per una determinata emergenza, salvo poi dimenticarsi di cancellarle.
Sulle accise, naturalmente, grava a sua volta un'Iva del 20%, che viene poi applicata anche allo stesso costo finale che vediamo pubblicizzato.

Quindi, se da una parte è giusto che i petrolieri e i vari gestori abbiano il loro guadagno, dall'altra è quanto mai vergognoso che lo Stato intaschi una quantità di denaro infinita facendo l'indiano.

In più ricordiamolo, il costo del petrolio si stima in dollari e, come tutti sappiamo, la crisi del dollaro nei confronti dell'euro è evidente, grazie anche ad una politica economica folle praticata in questi mesi dall'Europa. A questo punto, viene da chiedersi, usando numeri del tutto esemplificativi: se il prezzo del petrolio negli ultimi sei mesi è aumentato del 20%, e invece il valore del dollaro è diminuito del 25%, com'è possibile che io oggi paghi la benzina il 30% in più rispetto a sei mesi fa?
Domanda che rimarrà senza risposta, ovvio.

In chiusura, se il petrolio è destinato a superare i 100 dollari al barile, l'euro viaggia a velocità di crociera verso l'1,50 nei confronti della moneta statunitense. E con questo? Cos'è, vogliamo fare i fenomeni e dimostrare che la nostra moneta è forte? E dimenticarci qualsiasi tipo di esportazione, con una diminuzione dei rapporti diplomatici con i Paesi al di fuori dell'Europa e tutto quello che ne consegue.
Non sarebbe più furbo cercare un compromesso tra i tassi di sconto e quelli di interesse, far scendere di qualche gradino l'odiata moneta europea e tornare a parlare di cifre ragionevoli?

Ah già, ma noi non siamo in Europa, siamo solo in Italia, e il nostro Ministro dell'Economia è quel bamboccione di Padoa Schioppa. Lasciamo perdere.

domenica 4 novembre 2007

Corriere Medical Division

Si fa un gran parlare del Dottor House.

O, come sarebbe meglio dire, rispettando il titolo del serial USA, di House - Medical Division.

A ragione, perchè è un prodotto televisivo di tutto rispetto, con un grande protagonista, degli ottimi comprimari, pochissime cadute di stile nelle storylines, dialoghi scritti in modo egregio e via dicendo.

A torto, perchè qualche volta si esagera davvero.
E lasciamo perdere il doppiaggio italiano, che, pur non essendo - incredibile! - pessimo, per una volta, elimina comunque quel dedalo di piccolezze che fanno grande la recitazione degli attori. E lasciamo da parte anche il fatto che Canale5, la rete ammiraglia Mediaset, visti gli ascolti record di House, l'ha candidamente sottratto ai colleghi di Italia1 per tenerselo tutto per sè, stretto stretto.

Ma quello che ho letto stamattina mi ha lasciato a metà tra l'infuriato e l'esterrefatto.

Sulla prima pagina dell'augusto quotidiano Corriere della Sera di oggi, in basso a destra, campeggiava un terrificante articolo a titolo "Dottor House contro Bush: sanità per tutti" (leggibile integralmente qui), in cui la giornalista Alessandra Farkas, a mio avviso dopo una dose eccessiva di Vicodin (e chi segue House sa di cosa parlo), blaterava di un'invettiva sociale del medico televisivo, pronto a guidare una rivolta popolare con tanto di pugno chiuso, marciando sulla Casa Bianca.
Ora, se è vero che il Corriere è un giornale serio - ammesso che ne esistano ancora, in quest'Italia comunicativamente devastata - è vero anche che dovrebbe fare più attenzione alle castronerie del proprio staff, prima di buttarle nero su bianco sulla carta stampata.
E' chiaro infatti che la Farkas poco sa e ancora meno conosce di House, e quindi, ovviamente, non sa distinguerne l'ironia cinica e geniale dalla supposta verve neopolitica.
In sintesi, nell'ultima puntata del serial, andata in onda lo scorso martedì sugli schermi televisivi americani, House metteva in scena una piccola battaglia contro la direttrice dell'ospedale, la Cuddy per i non neofiti, battaglia che veniva ripetutamente combattuta a colpi di dispetti, ripicche e sgambetti. Nel momento clou della pugna, dopo aver messo sottosopra mezzo ospedale diffondendo la voce che la maionese della mensa era scaduta, il Dottore si trova nella gremita sala d'attesa del pronto soccorso, colma - ogni mondo è paese, in fondo - di malati immaginari, anziani e compagnia bella e, per gettare benzina sul fuoco, pronuncia queste esatte parole:

Who here doesn't have any health insurance?
Tch. Michael Moore was right.
MRIs, PET scans, neuro-Psych tests,
Private rooms for all these patients.
Fight the power!

E il "Michael Moore was right", che rimanda sicuramente alle accuse sociali formulate da Moore nella sua pellicola Sicko, di qualche mese fa, è indubbiamente detto per incendiare gli animi e creare confusione in reparto, e non certo per una qualsivoglia invettiva anti-Bush.
La Farkas, quindi, farebbe meglio ad informarsi, o quantomeno a togliersi le fette di salame dagli occhi, prima di buttare sulla carta l'inchiostro delle sue castronerie.

O forse, semplicemente, avrebbe bisogno di un bravo dottore.

Citofonare Gregory House.

venerdì 2 novembre 2007

ROMa ladrona

Ho aspettato un paio di giorni per scrivere due righe sull'omicidio di Giovanna Reggiani.

Tanti hanno detto troppo, non avevo voglia di confondere la mia voce tra le ovvietà blaterate da giornali, TG, gente comune, politicanti, razzisti, realisti.

I fatti mi cosano, come diceva un noto comico: Giovanna Reggiani è stata aggredita, seviziata e poi gettata in un fosso, nella periferia di Roma. Si è difesa con tutte le sue forze, ma poi non ce l'ha fatta. E' morta, mentre rimane in vita il suo assassino, il romeno Nicolae Mailat, ora accusato - e ci mancherebbe altro - di omicidio volontario.

Di qui, al di là dei moralismi, tutto un susseguirsi di orridi servizi televisivi, e soprattutto un batti e ribatti dei maggiori esponenti della Maggioranza e dell'Opposizione, come se a Roma ladrona ci si rendesse conto solo oggi dei palesi pericoli che le minoranze etniche hanno portato nel nostro Paese nel corso degli anni, grazie ad una politica sull'immigrazione quanto mai blanda e inefficace.

E Brodo, con tutta la sua sapienza (e con un certo bruciore sulla poltrona che non accenna a diminuire: prima Mastella che chiede un rimpasto di Governo in tempi brevi, e adesso questo marasma), cosa fa? Butta giù due righe e con un Decreto dà il potere ai Prefetti di espellere dall'Italia, oltre ai clandestini, anche quei cittadini comunitari ritenuti in qualche modo pericolosi. Con il solito sberleffo che fa durare l'espulsione soltanto tre anni, dopodichè tac, ecco che possono tornare da noi a farsi i comodi loro.

Una bomba a orologeria, in pratica.

Tutti giù a dire che la Romania è un Paese sicuro, in cui si vive bene e il tasso di criminalità è bassissimo. Certo, peccato che siano in pochi a dire che LA' viene quasi sempre applicato il massimo della pena per ogni crimine. Peccato che siano in pochissimi a dire che LA' la giustizia è nettamente più rapida che da noi. Peccato che quasi nessuno dica che i criminali romeni, avendo la vita un tantinello difficile in patria, siano venuti a fare i delinquenti in Italia. In pratica, tutti sanno e nessuno si azzarda a dire che la Romania è una nazione molto più europea della nostra, e che quindi è difficile comunicare con il loro Governo cercando di tenere il coltello dalla parte del manico.

In chiusura, una piccola parentesi politica, tanto per gradire. Noi abbiamo avuto il ventennio Fascista che, se da una parte ci ha fatto perdere la Seconda Guerra Mondiale, con tutto quello che ne consegue, per buona parte della sua durata ha fatto del bene all'economia, all'industria e all'agricoltura italiana. Dopo il 1945, dopo la fine della Monarchia, abbiamo avuto un susseguirsi di Governi a fasi alterne, ma con un'evidente difficoltà a gestire le sorti del Paese, il PIL, il debito pubblico, la sicurezza, i trasporti.
In Romania c'è stato Ceausescu, comunista, leader e dittatore dal 1965 al 1989. Con la Rivoluzione, la sua caduta e la conseguente esecuzione, la Romania è diventato un Paese libero, e con il collasso del regime ne ha solo guadagnato, da ogni punto di vista, non ultimo i rapporti con gli altri Stati dell'Unione Europea e mondiali.

Come dire, modi diversi di gestire la fine di una dittatura.