Per quei pochi che non l'avessero notato, il libro dell'estate è stato La verità sul caso Harry Quebert, del misconosciuto Joel Dicker.
Il libro è l'opera seconda del giovane scrittore svizzero, ha vinto qualche premio in patria, e poi è stato recensito come rivelazione dell'anno da giornali, riviste, blog e via dicendo.
Peccato però che sia del tutto sopravvalutato.
In due parole, il libro parla della scomparsa di Nora Kellergan, più di trent'anni prima dell'attuale svolgimento, e, con continui - e talora fastidiosi - flashback e flashforward, ripercorre tutta la sua storia, andando alla ricerca dell'assassino, intervallandola con quella del protagonista, novello scrittore emergente che cerca l'ispirazione per il secondo libro.
Fin qui niente di male, ma vediamo i lati negativi.
1. Il libro, letto in italiano, è tradotto e adattato in modo terrificante, mettendo insieme qua e là frasi senza senso, parole che non si usano più da decenni, e spesso spezzando il ritmo della narrazione.
2. Quasi 800 pagine sono veramente troppe per un libro senza una trama lineare. Se all'inizio la struttura sembra interessante, da metà in poi annoia e annacqua il tutto.
3. I personaggi sono pochi, e quando mancano 200 o più pagine alla fine si intuisce chiaramente chi sarà il colpevole.
4. I personaggi sono sfaccettati male, quasi appiattiti, e soprattutto verso il finale perdono la forza che potevano avere all'inizio.
5. Il finale è spento, lento, brutto.
Intendiamoci, non è da buttare via, ma sicuramente non merita tutti i plausi che ha ricevuto. Alcune cose sono simpatiche, come la metafora della boxe con il mestiere di scrittore, ma si perdono nelle - ripeto, troppe - quasi 800 pagine.
Un libro da leggere in spiaggia, ma niente di più.