E così alla fine sono tornato dal mio peregrinare per l'Italia, reduce dal mini-tour tricolore del buon vecchio Bruce Springsteen.
In realtà sono tornato venerdì scorso, ma ho preferito lasciar passare un po' di tempo, riflettere, riposarmi, pensare ad altro.
Non voglio prendere in giro nessuno, è stata una settimana faticosa (quella del tour, intendo). Ma noi springsteeniani siamo così, alcuni fanno addirittura un culto della sofferenza, altri sfoggiano con sorriso ebete i lividi da transenna, ruminando poi bestemmie in privato per questa o quella costola incrinata, o per le piaghe dovute all'ennesima notte sul nudo asfalto davanti ai cancelli degli stadi. Non sono tutti così, eh. Ma alcuni, già, alcuni sì.
Sabato 18 luglio partivo con il compare Gabriele da Malpensa, per arrivare, tra una cosa e l'altra, nei pressi dello Stadio Olimpico di Roma poco prima delle 16. Ci avviciniamo alla folla già in coda (una trentina di ore prima del concerto, va detto), prendiamo il numerino 250, ma non abbiamo intenzione alcuna di bruciarci l'Urbe, e quindi abbandoniamo i compagni d'avventura e ci gettiamo lungo via del Corso, il Pantheon, il Colosseo e via dicendo, e tra un centurione (abbella! so' ccinqueuri!) e una birra trascorriamo tutto il pomeriggio, per poi spostarci verso Campo dei Fiori e quindi Trastevere per una sana cena ristoratrice. Ancora un giro per Roma, e poi a dormire, che domani ci si alza presto.
I nostri sogni di gloria vengono infranti all'alba: sms minatori ci avvertono del fatto che ormai ci sono più di 800 persone davanti allo stadio, e la vox populi dice che verranno dati solo 1000 braccialetti per il pit (che se non sapete cos'è non siete stati attenti nelle scorse puntate). Ci si lava in fretta e furia, voliamo verso lo stadio, prendo il numero 996, per oggi siamo a posto.
La coda è gestita in modo approssimativo, l'entrata è pessima, un serpentone umano sudaticcio e incazzato che spinge senza un perchè, e poi BUM! siamo dentro allo stadio, dentro al pit, a un passo dalla transenna, peccato che non sono nemmeno le 17, e oggi, complici i Mondiali di nuoto che sono a due passi, bè, si inizia dopo le 22. E' uno stillicidio, una fatica assoluta, ma quando alla fine, intorno alle 22.30 circa, le luci si spengono e comincia tutto, bè, è un grande spettacolo. Scaletta sconvolta dopo pochi pezzi, American Skin, My City of Ruins dedicata a L'Aquila, You Can't Sit Down, roba che alla fine, mentre addento un panino con porchetta da un milione di calorie, sono esausto ma contento.
Lunedì mattina sveglia presto, aeroporto, poco dopo pranzo sono a casa. Il tempo di cambiare la roba nello zaino, una doccia veloce, due cose di lavoro da sbrigare, e salgo in macchina, direzione Torino. Davanti all'Olimpico, molte facce già viste a Roma, nelle tappe precedenti, negli anni passati, baci, abbracci, numerino sulla mano, 181, e anche per stavolta siamo a posto. Oggi va pure di lusso, vado a mangiare con una decina di amici (grigliata mista rinforzata con polenta, peperoni e cipolle, che il rock non è per signorine), appello delle 23 e poi accampamento a casa di amici, in sei (poi sette) a dividerci letti, divani, pavimenti, materassini. Appello delle 6 in pigiama, si ronfa di nuovo fino alle 8.20, poi un trionfo di colazione, perchè la padrona di casa è un angelo, e alle 9 siamo in postazione davanti allo stadio, e anche oggi sarà una lunga giornata. Così lunga che quando decidiamo di addentare qualcosa, poco dopo le 13, da quasi tutti i porchettari è finito il pane. Roba da matti.
Stavolta la fila è abbastanza ordinata, e la sicurezza si dà da fare, entriamo camminando, non si corre, nessuna gamba falciata, niente spintoni. Roba che in Italia non si è mai vista, siamo tutti stupiti e piacevolmente colpiti. Siamo dentro, siamo nel pit, sono da poco passate le 16, e prima delle 21 (poi inizierà intorno alle 20.45) non si comincia.
E quando quell'ometto quasi sessantenne, quel bovaro del New Jersey, sale sul palco e dice "Cerea Torino! Mi i sun cuntent d’ese ambelesi con vojautri! Nè?", e poi attacca con Loose Ends, bè, qualcosa potrebbe lasciar intuire che succederà qualcosa di unico, stasera. E infatti, al momento delle richieste, ecco che arriva Travellin' Band, e già qui, ok, alla grande, ma poi il pezzo dopo... No, non può essere. Voglio dire, è almeno un mese e mezzo che gliela si chiede, in tutta Europa, ma proprio qui, stasera... No, dai. Eh, e invece sì. Drive All Night. E non dico altro.
E poi, dopo una My Hometown buttata lì, alza un cartello verde, che quel cartello verde l'ha fatto Daniela, che poi è la padrona di casa del trionfo della colazione, e sopra c'è scritto Backstreets. Ora, non importa che voi conosciate o meno il pezzo, ma vi basti sapere che a un certo punto il testo dice "we swore forever friends", roba che se la si ascolta dal vivo con gli amici, come stavo facendo io in quel momento, bè, quegli abbracci hanno un significato unico.
Alla fine non ci sono parole, ci si guarda, si sorride, non si riesce a dire nulla. Ci si abbraccia, grandi pacche sulle spalle, la sensazione di aver vissuto un evento pazzesco.
Torno a casa con Rob, ma non è finita, domani si parte per Udine.
Cerco di recuperare almeno una frazione del sonno arretrato, cambio la roba nello zaino, mi faccio una doccia, e poco dopo pranzo si parte per Udine, con sosta a Milano per raccattare altri blood brothers, coda per uscire dalla tangenziale, improperi, soste in autogrill e varie, morale della favola arriviamo in Friuli (che, per chi non lo sapesse, è in capo al mondo, per usare un eufemismo) poco dopo le 21. Prendo il numerino, 248, e via, anche per domani siamo a posto.
Aspetto l'appello di mezzanotte tra una costina, una fetta di formaggio, una birra e un amaro croato (grazie Garybaldi!), rispondo alla chiamata, aspetto Angela, divido il pavimento della casa di Alessandra con Max, che a noi uomini duri il materasso fa schifo. Appello delle 6, nuovo sonno ristoratore, appello delle 9 e tutti in posizione, con una meritata pausa al Bar Stadio per una dovuta colazione. Ora, nella mia ignoranza meteorologica, io supponevo che a Udine il clima fosse, per così dire, fresco. E invece mi becco 30 gradi alle 10 di mattina, per fortuna che lì sanno fare le cose in un certo modo, e la Protezione Civile ci innaffia tutto il giorno, di acqua ce n'è in abbondanza.
Si entra in modo ancora più ordinato che a Torino, pazzesco. Siamo dentro, siamo nel pit, non sono nemmeno le 16 e fa un caldo bestia, l'attesa sarà lunga. Intorno a me, a noi, c'è tutto un mondo fatto di cartelli più o meno raffinati, che da quando Bruce ha deciso di esaudire almeno un paio di richieste a sera, ognuno scrive le cose più strampalate, che non si sa mai. Verso le 19, mi viene la folgorazione, recupero del cartoncino verde, un pennarello, e mi metto a vergare Be True. Che sì, è vero, l'ho già sentita a Parigi sei anni fa (e per me quello show ha un significato tutto suo), ma è una canzone che mi piace da matti, e non si sa mai, magari stasera gli gira di farla.
Intorno alle 21, al grido di "Mandi Udin", inizia lo show. Sherry Darling, una straordinaria Something in the Night, e poi arriva il momento richieste, purtroppo il mio cartello verde con scritta nera non lo prende, forse lo guarda di sfuggita. Summertime Blues, graditissima, ok, va bene. Ma poi... "your scrapbook filled with pictures of all your leading men..." Be True. Non ha preso il mio cartello, ok, ma chissenefrega, l'ha fatta. E se non ci credete, ho ancora il cartello in macchina. Ma non è finita: c'è ancora spazio per una bellissima Streets of Fire, e per un urlo devastante all'inizio di Born in the USA, roba che forse neanche nell'85. E poi, dopo Twist&Shout, tutto si spegne, ci si saluta, almeno per adesso è finita, che sono pochi quelli che andranno anche in Spagna, e io non sono tra loro.
In poco più di un mese e mezzo, dal primo show di Stoccolma a quello di giovedì di Udine, ho visto gente sorridere sotto la pioggia e tentare di battere le mani al gelo, ho diviso il desco svedese ingerendo aringhe e altri ammennicoli con un amico; mi sono accampato su pavimenti, materassini, nudo asfalto e letti, incontrando un'ospitalità incredibile; ho visto uomini grandi e grossi piangere, ridere, saltare e dimenarsi; ho scambiato abbracci unici, che valgono più di mille parole; ho viaggiato in lungo e in largo per l'Europa e per l'Italia, macinando chilometri talvolta a orari improponibili, chiacchierando di tutto; ho fatto file davanti agli stadi con visi già notti e facce ancora da conoscere, rendendomi conto ogni volta di come quella springsteeniana sia una vera famiglia; e adesso, che per me il sipario si è chiuso, si pensa già al futuro, alle nuove date, ai rumors, ai concerti e ai viaggi da fare insieme. Perchè, ancora una volta, sì, ok, la scaletta, i pezzi, l'intensità, il concerto, ma la cosa importante e fondamentale è condividerla con gli amici, con le persone che si incontrano on the road, con ragazzi e ragazze a cui si vuole bene.
Stay hard, stay hungry, stay alive!
In realtà sono tornato venerdì scorso, ma ho preferito lasciar passare un po' di tempo, riflettere, riposarmi, pensare ad altro.
Non voglio prendere in giro nessuno, è stata una settimana faticosa (quella del tour, intendo). Ma noi springsteeniani siamo così, alcuni fanno addirittura un culto della sofferenza, altri sfoggiano con sorriso ebete i lividi da transenna, ruminando poi bestemmie in privato per questa o quella costola incrinata, o per le piaghe dovute all'ennesima notte sul nudo asfalto davanti ai cancelli degli stadi. Non sono tutti così, eh. Ma alcuni, già, alcuni sì.
Sabato 18 luglio partivo con il compare Gabriele da Malpensa, per arrivare, tra una cosa e l'altra, nei pressi dello Stadio Olimpico di Roma poco prima delle 16. Ci avviciniamo alla folla già in coda (una trentina di ore prima del concerto, va detto), prendiamo il numerino 250, ma non abbiamo intenzione alcuna di bruciarci l'Urbe, e quindi abbandoniamo i compagni d'avventura e ci gettiamo lungo via del Corso, il Pantheon, il Colosseo e via dicendo, e tra un centurione (abbella! so' ccinqueuri!) e una birra trascorriamo tutto il pomeriggio, per poi spostarci verso Campo dei Fiori e quindi Trastevere per una sana cena ristoratrice. Ancora un giro per Roma, e poi a dormire, che domani ci si alza presto.
I nostri sogni di gloria vengono infranti all'alba: sms minatori ci avvertono del fatto che ormai ci sono più di 800 persone davanti allo stadio, e la vox populi dice che verranno dati solo 1000 braccialetti per il pit (che se non sapete cos'è non siete stati attenti nelle scorse puntate). Ci si lava in fretta e furia, voliamo verso lo stadio, prendo il numero 996, per oggi siamo a posto.
La coda è gestita in modo approssimativo, l'entrata è pessima, un serpentone umano sudaticcio e incazzato che spinge senza un perchè, e poi BUM! siamo dentro allo stadio, dentro al pit, a un passo dalla transenna, peccato che non sono nemmeno le 17, e oggi, complici i Mondiali di nuoto che sono a due passi, bè, si inizia dopo le 22. E' uno stillicidio, una fatica assoluta, ma quando alla fine, intorno alle 22.30 circa, le luci si spengono e comincia tutto, bè, è un grande spettacolo. Scaletta sconvolta dopo pochi pezzi, American Skin, My City of Ruins dedicata a L'Aquila, You Can't Sit Down, roba che alla fine, mentre addento un panino con porchetta da un milione di calorie, sono esausto ma contento.
Lunedì mattina sveglia presto, aeroporto, poco dopo pranzo sono a casa. Il tempo di cambiare la roba nello zaino, una doccia veloce, due cose di lavoro da sbrigare, e salgo in macchina, direzione Torino. Davanti all'Olimpico, molte facce già viste a Roma, nelle tappe precedenti, negli anni passati, baci, abbracci, numerino sulla mano, 181, e anche per stavolta siamo a posto. Oggi va pure di lusso, vado a mangiare con una decina di amici (grigliata mista rinforzata con polenta, peperoni e cipolle, che il rock non è per signorine), appello delle 23 e poi accampamento a casa di amici, in sei (poi sette) a dividerci letti, divani, pavimenti, materassini. Appello delle 6 in pigiama, si ronfa di nuovo fino alle 8.20, poi un trionfo di colazione, perchè la padrona di casa è un angelo, e alle 9 siamo in postazione davanti allo stadio, e anche oggi sarà una lunga giornata. Così lunga che quando decidiamo di addentare qualcosa, poco dopo le 13, da quasi tutti i porchettari è finito il pane. Roba da matti.
Stavolta la fila è abbastanza ordinata, e la sicurezza si dà da fare, entriamo camminando, non si corre, nessuna gamba falciata, niente spintoni. Roba che in Italia non si è mai vista, siamo tutti stupiti e piacevolmente colpiti. Siamo dentro, siamo nel pit, sono da poco passate le 16, e prima delle 21 (poi inizierà intorno alle 20.45) non si comincia.
E quando quell'ometto quasi sessantenne, quel bovaro del New Jersey, sale sul palco e dice "Cerea Torino! Mi i sun cuntent d’ese ambelesi con vojautri! Nè?", e poi attacca con Loose Ends, bè, qualcosa potrebbe lasciar intuire che succederà qualcosa di unico, stasera. E infatti, al momento delle richieste, ecco che arriva Travellin' Band, e già qui, ok, alla grande, ma poi il pezzo dopo... No, non può essere. Voglio dire, è almeno un mese e mezzo che gliela si chiede, in tutta Europa, ma proprio qui, stasera... No, dai. Eh, e invece sì. Drive All Night. E non dico altro.
E poi, dopo una My Hometown buttata lì, alza un cartello verde, che quel cartello verde l'ha fatto Daniela, che poi è la padrona di casa del trionfo della colazione, e sopra c'è scritto Backstreets. Ora, non importa che voi conosciate o meno il pezzo, ma vi basti sapere che a un certo punto il testo dice "we swore forever friends", roba che se la si ascolta dal vivo con gli amici, come stavo facendo io in quel momento, bè, quegli abbracci hanno un significato unico.
Alla fine non ci sono parole, ci si guarda, si sorride, non si riesce a dire nulla. Ci si abbraccia, grandi pacche sulle spalle, la sensazione di aver vissuto un evento pazzesco.
Torno a casa con Rob, ma non è finita, domani si parte per Udine.
Cerco di recuperare almeno una frazione del sonno arretrato, cambio la roba nello zaino, mi faccio una doccia, e poco dopo pranzo si parte per Udine, con sosta a Milano per raccattare altri blood brothers, coda per uscire dalla tangenziale, improperi, soste in autogrill e varie, morale della favola arriviamo in Friuli (che, per chi non lo sapesse, è in capo al mondo, per usare un eufemismo) poco dopo le 21. Prendo il numerino, 248, e via, anche per domani siamo a posto.
Aspetto l'appello di mezzanotte tra una costina, una fetta di formaggio, una birra e un amaro croato (grazie Garybaldi!), rispondo alla chiamata, aspetto Angela, divido il pavimento della casa di Alessandra con Max, che a noi uomini duri il materasso fa schifo. Appello delle 6, nuovo sonno ristoratore, appello delle 9 e tutti in posizione, con una meritata pausa al Bar Stadio per una dovuta colazione. Ora, nella mia ignoranza meteorologica, io supponevo che a Udine il clima fosse, per così dire, fresco. E invece mi becco 30 gradi alle 10 di mattina, per fortuna che lì sanno fare le cose in un certo modo, e la Protezione Civile ci innaffia tutto il giorno, di acqua ce n'è in abbondanza.
Si entra in modo ancora più ordinato che a Torino, pazzesco. Siamo dentro, siamo nel pit, non sono nemmeno le 16 e fa un caldo bestia, l'attesa sarà lunga. Intorno a me, a noi, c'è tutto un mondo fatto di cartelli più o meno raffinati, che da quando Bruce ha deciso di esaudire almeno un paio di richieste a sera, ognuno scrive le cose più strampalate, che non si sa mai. Verso le 19, mi viene la folgorazione, recupero del cartoncino verde, un pennarello, e mi metto a vergare Be True. Che sì, è vero, l'ho già sentita a Parigi sei anni fa (e per me quello show ha un significato tutto suo), ma è una canzone che mi piace da matti, e non si sa mai, magari stasera gli gira di farla.
Intorno alle 21, al grido di "Mandi Udin", inizia lo show. Sherry Darling, una straordinaria Something in the Night, e poi arriva il momento richieste, purtroppo il mio cartello verde con scritta nera non lo prende, forse lo guarda di sfuggita. Summertime Blues, graditissima, ok, va bene. Ma poi... "your scrapbook filled with pictures of all your leading men..." Be True. Non ha preso il mio cartello, ok, ma chissenefrega, l'ha fatta. E se non ci credete, ho ancora il cartello in macchina. Ma non è finita: c'è ancora spazio per una bellissima Streets of Fire, e per un urlo devastante all'inizio di Born in the USA, roba che forse neanche nell'85. E poi, dopo Twist&Shout, tutto si spegne, ci si saluta, almeno per adesso è finita, che sono pochi quelli che andranno anche in Spagna, e io non sono tra loro.
In poco più di un mese e mezzo, dal primo show di Stoccolma a quello di giovedì di Udine, ho visto gente sorridere sotto la pioggia e tentare di battere le mani al gelo, ho diviso il desco svedese ingerendo aringhe e altri ammennicoli con un amico; mi sono accampato su pavimenti, materassini, nudo asfalto e letti, incontrando un'ospitalità incredibile; ho visto uomini grandi e grossi piangere, ridere, saltare e dimenarsi; ho scambiato abbracci unici, che valgono più di mille parole; ho viaggiato in lungo e in largo per l'Europa e per l'Italia, macinando chilometri talvolta a orari improponibili, chiacchierando di tutto; ho fatto file davanti agli stadi con visi già notti e facce ancora da conoscere, rendendomi conto ogni volta di come quella springsteeniana sia una vera famiglia; e adesso, che per me il sipario si è chiuso, si pensa già al futuro, alle nuove date, ai rumors, ai concerti e ai viaggi da fare insieme. Perchè, ancora una volta, sì, ok, la scaletta, i pezzi, l'intensità, il concerto, ma la cosa importante e fondamentale è condividerla con gli amici, con le persone che si incontrano on the road, con ragazzi e ragazze a cui si vuole bene.
Stay hard, stay hungry, stay alive!
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