domenica 5 settembre 2010

Misano, 5 settembre 2010


Oggi non c'era neppure il dio pallone a distrarci da quella che non è una vera notizia sportiva, ma che con lo sport ha molto a che fare.

Oggi, alle 14.19, se ne andava Shoya Tomizawa.

Ai più il nome non dirà nulla, e a dire la verità anch'io l'avevo sentito nominare solo un paio di volte, e probabilmente non sarei stato in grado di riconoscerlo, accomunando i suoi tratti a quelli degli altri asiatici del circo delle moto.

Shoya era un ragazzo di nemmeno vent'anni, con le moto nel sangue, il polso destro sempre pronto ad aprire il gas, sulle piste internazionali dal 2006. Un ragazzo allegro, simpatico, con tutta una carriera davanti.

Un pilota che oggi è caduto ed è stato travolto da due moto a 200 all'ora. Portato al volo all'ospedale di Riccione, non c'è stato niente da fare.

Ma nel pomeriggio di oggi, mentre Guido Meda e Loris Reggiani cercavano il silenzio piuttosto che i soliti moralismi, e mentre i responsabili della sicurezza e della Clinica Mobile cercavano di raccontare i fatti così com'erano avvenuti, mentre sul podio della MotoGP si consumava un'esultanza moderata, con le bandiere a mezz'asta, in rete già infuriavano le ipocrisie e le frasi fatte.

Bisognava fermare la gara, dice uno. I piloti della MotoGP sapevano che Tomizawa era già morto, e hanno corso lo stesso, replica un altro. Non si può morire così giovani, sputa sentenze un terzo.

Da appassionato, mi sembra che quello delle moto sia uno degli ambienti dove si sta più attenti alla sicurezza delle piste e dei piloti, soprattutto dopo la morte di Daijiro Kato, sette anni fa. Certo, si poteva fermare la gara, si poteva far entrare l'ambulanza in pista, si poteva trasportare il pilota ferito in elicottero. Ma se non è stato fatto così, credo davvero che ci fossero delle buone ragioni.

Questo dal punto di vista strettamente medico.

Dal punto di vista morale, non lo so. E' facile adesso, davanti allo schermo di un pc, scrivere che quando succedono cose di questo tipo bisognerebbe esporre la bandiera rossa, fermare tutto, sbattersene degli sponsor e della tv, e prima di tutto assicurarsi che chi è caduto stia bene.

Ma la verità è che quello delle moto è uno sport pericoloso, in cui si può cadere a 300 all'ora e caversela con un graffio, o invece rimetterci la pelle, com'è successo oggi.

Ciao Shoya, apri il gas a martello, che lì non ti ferma più nessuno.

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