venerdì 28 ottobre 2011

Diobò


Lentamente si spegneranno le luci, poi i riflettori torneranno sul circuito di Valencia, tra poco più di una settimana, e il numero 58 sarà ovunque, su tute, moto, cappellini.

E poi la famiglia Simoncelli, e Kate, saranno soli, soli davvero.

Non dirò che il Sic era il mio pilota preferito, nè lo incenserò in chissà quale modo. Era un pilota aggressivo, di quelli che piacciono a me, ma che in motoGP era salito appena due volte sul podio. Il rischio di diventare un'eterna promessa era dietro l'angolo, ma io credo che già nel 2012, con il passaggio ai 1000cc, avrebbe fatto un bel passo in avanti. E per il 2013 era già pronta per lui la sella della Ducati, e chissà cosa sarebbe successo.

Ma invece il numero 58 del motomondiale ha chiuso la sua carriera a Sepang, domenica scorsa, e abbiamo visto tutti quanti troppe volte replay e immagini per continuare a parlarne.
Ieri c'è stato il funerale, 15mila persone famose e non, le moto in chiesa, Valentino che fa rombare il motore della Honda prima di accompagnarla fuori, Siamo Solo Noi.

Il Sic era simpatico, era un patacca, era un amico di Vale, era spesso in tv e, soprattutto, era italiano. Era uno che probabilmente avremmo potuto incontrare al bar, berci una birra e fare quattro chiacchiere. Era normale, un ragazzo cresciuto tra la via Emilia e il West, era italiano. E forse proprio per questo, al di là della retorica, la sua morte ci ha colpito così tanto, ha fatto accorrere migliaia di persone a Coriano, ne ha incollate milioni davanti alla tv, nell'estremo tentativo di esserci, di partecipare, di fare un saluto.

Quello che colpisce di più è però la forza e l'incredibile dignità di papà e mamma Simoncelli, e di Kate. Gente che conosce da tempo le telecamere spesso indirizzate verso Marco, ma che ha scelto di non nascondersi, e anzi di parlare, e parlare bene. Non c'è stata la minima accusa, non si sono cercate colpe, non c'è stata alcuna retorica. Solo la forza e la dignità di una famiglia che sa che il difficile viene adesso, quando si spengono le luci.

In questi giorni ho visto e letto giornalismo di bassa lega, avvoltoi che sgomitano per raccogliere lacrime e dolore, ma in questo hanno fallito, sia a Sepang che a Coriano. Alle stolide e banali domande che venivano continuamente ripetute, ricevevano risposte secche, dirette, non sfumate dal pianto o dalla disperazione.

Voglio segnalare solo due passaggi giornalistici, perchè chi è coinvolto conosceva davvero il mondo dei motori e Marco, e non ne faceva soltanto un lavoro. Questa è una bella intervista fatta a Giorgio Terruzzi. L'altro che avrei voluto mettere era il video di chiusura dalla diretta di Sepang, domenica scorsa. La voce di Paolone Beltramo, e il silenzio che segue, dicono tutto, ma al momento il video non si trova più su YouTube. Ma chi l'ha visto in diretta sa di cosa sto parlando.

Gas a martello, Sic, e buon viaggio.

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