sabato 26 ottobre 2013

Miami & The Groovers - NO WAY BACK [recensione]

Finalmente - e questo finalmente dovrebbe comprendere anche il tante volte ignorante pubblico mainstream, non solo quello del rock n roll di nicchia - anche i Miami & The Groovers hanno dato alle stampe un cd/dvd live che si rispetti.

Intendiamoci, un accenno ce lo avevano già regalato qualche anno fa (con The Official Bootleg, 2009), su youtube si trovano decine di loro performance nei posti più disparati, e a questi si aggiunge qualche bootleg ben fatto ad opera di volenterosi, ma questa volta ci troviamo in mano un prodotto ufficiale, prodotto in modo meticoloso e tecnicamente ineccepibile, che riesce nella difficile impresa di riassumere in qualche modo una storia lunga più di dieci anni.

Il cd/dvd No Way Back comprende estratti dei due - bellissimi e intensi - concerti tenuti dai Groovers il 23 e 24 marzo di quest'anno al Teatro di Cesenatico, momenti ben scolpiti nella mente di chi c'era.

Il cd, così come il concerto, si apre nella penombra, in modo livido e essenziale, con Always The Same, che si apre all'elettricità rock prima che scocchino i suoi due minuti, per poi lasciare spazio a Burning Ground (tratta dall'ultimo album in studio, come la precedente), e quindi alla pausa romantica di Lost (dal primo disco), che diventa un ottimo preludio a Tears Are Falling Down, brano in cui, oltre alla piacevolissima presenza al microfono di Daniele Tenca, si sente forte e chiara la risposta del pubblico, quel nutrito manipolo di fan della prima o dell'ultim'ora, che continuano a urlare il ritornello anche dopo la fine del pezzo, segno inequivocabile che con alcune canzoni Lorenzo e i suoi Groovers sono entrati nel cuore e nel pensiero comune di chi li segue da anni.

E' Renato Tammi l'ospite alla chitarra di Audrey Hepburn's Smile, brano che il gruppo riminese portava in giro anche un anno prima della sua incisione, con il titolo Too Long In Exile, e quindi il motore sale di giri su Jewels and Medecine, prima di lasciare il passo al secondo momento romantico del disco, quella Love Has No Time che, così come sul disco (Merry Go Round) fa da preambolo alle chitarre infuocate di Sliding Doors.

La band è in gran spolvero, i suoni rendono anche su cd l'atmosfera del teatro e di quei concerti, e la successiva Good Things si porta dentro tutta la sua ventata di ottimismo, seguita da una nuova e più ruvida versione di Highway, e quindi a Broken Souls, altro brano particolarmente amato dal pubblico dei Groovers.

Dopo It Takes A Big Rain, si torna alle origini con Rock N Roll Night, traccia 1 del primo album in studio (Dirty Roads, 2005), quindi It's Getting Late, e poi arriva il momento di We're Still Alive, brano simbolo degli ultimi mesi di tour dei M&TG, con il suo ritornello infinito, cantato a squarciagola dal pubblico, che ha ancora tutta la voglia di essere vivo e di sentirne ancora.
Il finale è affidato a una bellissima Merry Go Round, che riesce a riportare anche su disco l'intensità e il messaggio di quella sera a teatro.

Il dvd non è una semplice riproposizione video del cd, ma ha una scaletta diversa, e riescono a trovare spazio anche On A Night Train, Under Control, Walkin' All Alone, Back In Town, Redemption Song (cantata da Beppe Ardito), Waitin' For Me, Last R&R Band, One Way Ride, ma soprattutto è ricco di dietro le quinte, prove, interventi e commenti da parte di tutti i membri della band, oltre che di Daniele Tenca, Riccardo Maffoni, Ed Abbiati e tanti altri, regalando la fotografia di un'esperienza davanti e dietro al palco, con un messaggio forte e chiaro e una confezione perfetta.
Sui titoli di coda, poi, viene data voce anche al pubblico e alla gente comune, intervistata attimi prima di entrare in platea, a mettere anche la sua firma sul grande libro di No Way Back.

Certo, come spesso accade, anche in questo caso noi viziati del rock n roll non siamo mai contenti: si poteva magari lasciar fuori qualcosina e mettere dentro un aneddoto di Lorenzo "Miami" Semprini, o sovrapporre la voce di Andrea Boido all'ingresso della band, ma sono dettagli.
Le canzoni rendono meglio che nelle versioni in studio, prendono una vita propria e sono supportate alla grande dal pubblico, che, come si può vedere in molte inquadrature, le conosce a memoria, e le restituisce alla band sul palco.

Suoni, riprese, titoli, montaggio, tutto è costruito in modo eccellente, e, neanche a dirlo, professionale, e riescono a dare un'immagine perfetta e quasi mai sgranata dei Miami & The Groovers di oggi e del loro pubblico, dopo più di dieci anni on the road, tra locali sconosciuti e scalcinati e grandi palchi.

Per chi c'era, per chi non c'era, per chi conosce i Miami e per chi non sa chi siano, No Way Back è un disco da avere e da mettere nello stereo a tutto volume.
Non riuscirete a rimanere fermi, dovrete cantare e ballare, o almeno sorridere.

Le parole migliori per chiudere questa recensione sono quelle di Lorenzo Semprini, sul finale di Merry Go Round:

...e alla fine del giro non importa se ti sei divertito, se sei stato male, se hai incontrato persone stupende o altre che vorraii solo dimenticare, se ci saranno stati giorni grigi, bui, tempestosi, piovosi, e altri invece assolati, giorni perfetti... e ti ricorderai di tutto, di chi è stato buono con te, di chi è stato cattivo, di chi ti ha offerto qualcosa e chi no... ti ricorderai delle serata in cui ti sei divertito, e di quelle in cui sei rimasto da solo, a letto, a piangere. Ma alla fine di tutto questo giro, e di questa giostra, tutto quello che hai, avete, abbiamo capito, è che quel giro di giostra alla fine vale sempre la pena farlo. Buona fortuna a tutti.

giovedì 10 ottobre 2013

Il Gianni nazionale

Sì, sia lunedì che martedì ho visto Gianni Morandi in tv, in diretta dall'Arena di Verona.

Dal vivo l'ho visto verso la metà degli anni '90, in un oscuro paese del Monferrato, e già allora la platea era formata prevalentemente da carampane molto arzille, che sciorinavano le parole dei suoi brani una per una, a memoria.

Ma torniamo a noi, ho visto Gianni in tv, tutte e due le sere, e non me ne vergogno affatto.

La serata di lunedì inizia fortissimo, mettendo in fila, tra le altre, Un Mondo d'Amore, Vita, Non Son Degno Di Te, Scende La Pioggia, per poi coinvolgere Cocciante, presente in prima fila, in un accenno di Margherita, e ancora Bellemilia, la canzone dedicata alle vittime del terremoto.
Il palco è grandioso, band e orchestra in gran spolvero, Morandi sembra qua e là avere qualche problema di fiato, ma non facciamogliene una colpa, a 68 anni.

I ritmi non sono dettati più di tanto dalla televisione, ma ecco che arriva Fiorello, che in 20 minuti ruba letteralmente la scena al Gianni nazionale, con un breve monologo e poi con un mini medley di tante sue canzoni, per poi duettare con Morandi su Si Può Dare Di Più e Se Perdo Anche Te. Esagerato, sopra le righe, gigione, dite quello che volete, ma Fiorello è riuscito a dare una marcia in più a uno spettacolo che già stava funzionando da solo, riuscendo anche a uscire di scena in modo perfetto per poi inciampare sulle pause pubblicitarie, tornare sul palco, dire una parolaccia a microfono aperto e poi salutare definitivamente.

Continuare dopo un mattatore del genere è difficilissimo, ma Gianni ci riesce, alzando ancora l'asticella e intonando prima Occhi Di Ragazza e poi Piazza Grande, mentre sull'Arena scende ancora qualche goccia di pioggia. Il trittico, strepitoso, si chiude con C'era Un Ragazzo, applausi a scena aperta e tutto il pubblico a cantare.

Ed ecco che arriviamo alla prima battuta d'arresto della serata: Raffaella Carrà. Perchè in una serata che non prevede grandi duetti, e in cui già Fiorello ha preso abbastanza scena, la presenza della Carrà non aggiunge niente, ma anzi, ruba solo tempo prezioso, lasciando lì sia Bella Belinda che Banane E Lampone che avrebbero fatto più bella figura cantate dal solo Morandi.

Gianni, tornato finalmente solo, recupera il tempo perduto con una splendida Uno Su Mille, per poi introdurre il vero gigante della serata, Ennio Morricone - che una cinquantina di anni fa arrangiava proprio i brani di Morandi - che prima dirige l'orchestra con il tema di C'era Una Volta In America, e poi lo stesso Gianni, con Se Perdo Anche Te e Ho Visto Un Film (Nicola e Bart), accompagnandolo con un grande e strepitoso coro.

Il finale è affidato a In Ginocchio Da Te, ottima sigla di chiusura, al termine della quale il palchetto centrale, che si fa largo tra le prime file, viene assediato dalle signore con pettinature improbabili e capelli azzurrini, in cerca di una reliquia di Gianni.

In definitiva, un ottimo concerto, al quale magari sono mancate le chicche dei primi anni, quelle più ye-ye, ma a cui davvero non si può rimproverare nulla (a parte, come già detto, la comparsata poco utile della Carrà).

Martedì invece Gianni sembra più stanco, l'inizio stenta un po' con il pezzo nuovo Bisogna Vivere, poi una gran Chimera e una piacevole Ma Chi Se Ne Importa, per poi incespicare pesantemente con le ospitate. Prima Rita Pavone, non al massimo della forma ma che era lì di fatto per presentare il suo nuovo disco - e che al passaggio spreca i primi brani di Morandi (Andavo A Cento All'Ora, Fatti Mandare Dalla Mamma e altre), poi l'inutile Checco Zalone (film in uscita) e ancora Cher, che nemmeno sapeva chi fosse Morandi, e che si è esibita con tanto di ballerini in un orrido playback, tra l'altro sfumando la presentazione di Gianni. E poi ancora Nina Zilli, Noemi, Bianca Atzei (brutta la sua versione di In Amore).
Bello invece il duetto con il figlio Marco (che sembra più vecchio del padre), e verso il finale le cose migliorano, soprattutto con Grazie Perchè (con Amii Stewart) e con un paio di pezzi solo voce e chitarra, per poi chiudere, forse un po' troppo presto, con Scende La Pioggia.

Insomma, una seconda serata davvero troppo televisiva, con Morandi però presentatore impacciato e arrugginito, che riesce a dettare tempi e modi dello spettacolo quando è da solo sul palco, senza troppi fronzoli e ospiti ingombranti.

Nel complesso, prendendo il meglio di entrambe le serate, abbiamo ancora una volta avuto il Gianni nazionale, di cui tutti sappiamo a memoria le canzoni e le cantiamo a squarciagola, senza vergognarcene.

Tatatata ta Tatatata ta Tatatata ta Tatatata ta Tatatata taaaa...

martedì 8 ottobre 2013

Cesare Carugi - PONTCHARTRAIN [recensione]





Sgombriamo il campo da dubbi: l'EP di esordio di Cesare Carugi, "Open 24 HRS", per quanto molto buono, risulta forse un po' acerbo, anche se c'erano tutte le avvisaglie di un ottimo disco in un prossimo futuro.


Le promesse sono poi state mantenute con il primo cd vero e proprio, "Here's To The Road", un disco ben scritto, ben cantato e ben suonato, ricco di chitarre acustiche e prodotto senza sbavature, con la passione di chi ha la musica nel sangue.

Adesso, con "Pontchartrain", il cantautore toscano continua a migliorare, dimostrandosi un ottimo interprete delle proprie canzoni, senza tralasciare l'ottima pronuncia inglese.
Già dal primo ascolto si respira un rock delle origini, si sentono le assi dei palchi di legno scricchiolare, c'è il cielo e la terra, ci sono sole e nuvole, e un po' tutte le tracce del disco sembrano attraversate da un filo di malinconia, che può senza dubbio rimandare al lago americano da cui l'album prende il nome.

Si parte con Troubled Waters, brano che potrebbe senza dubbio appartenere a John Hiatt (e che inserisce subito nel cast la slide di Paolo Bonfanti), per poi passare a una ballatona piena come Carry The Torch. La chitarra elettrica dello stesso Carugi, insieme all'armonica, sono invece i protagonisti di Long Nights Awake, che lascia spazio alle atmosfere più country di Your Memory Shall Drive Me Home.
Il duetto ritmato di Charley Varrick ha un'atmosfera più sfumata, mentre il "lato A" del disco viene chiuso dalla title track, Pontchartrain Shuffle, con Francesco Piu a dare una mano, ritmo incalzante e gran divertimento.
Si riprende con i toni drammatici di Morning Came Too Early, per poi arrivare a uno dei punti più alti dell'album, Drive The Crows Again, che parte lentamente per poi sfociare nello splendido violino di Chiara Giacobbe.
Dopo la più elettrica Crack In The Ground e il bluesaccio alla Tom Waits di My Drunken Valentine, è il piano - insieme ai fiati - a accompagnare la dolce e suadente When The Silence Breaks Through, altro ricco punto di forza del disco.
A chiudere i solchi ci pensa We'll Meet Again Someday, che scivola sui titoli di coda regalando tinte più rosee; ad accompagnare Carugi questa volta ci sono i Mojo Filter, band dalla solida esperienza rock, che mettono in musica un gran bel pezzo indie-roots, che chiude il sipario su questo album facendo già l'occhiolino al prossimo, "ci incontreremo di nuovo prima o poi".

Insomma, è un gran bel disco quello di Cesare Carugi, che se non gioca l'asso della manica di stupire subito con l'impatto violento delle canzoni, ma si fa largo piano, con calma e eleganza, dando all'ascoltatore il tempo di assimilare musiche e testi, per poi ascoltarli ancora e ancora.

Sarebbe un lavoro perfetto per il vinile, con il tempo necessario anche a cambiare lato del disco e appoggiare di nuovo la puntina, ma rimane il fatto che Pontchartrain avrà una vita molto molto lunga.

Per tutti i dettagli su Cesare Carugi e sulle prossime date del tour: www.cesarecarugi.com

venerdì 4 ottobre 2013

Giorni di Gloria e Canzoni




Lo scorso week-end, nonostante il traffico mostruoso e i vergognosi lavori su quasi tutto il tratto autostradale, sono riuscito a arrivare in quel di Rimini, per la quindicesima edizione dei Glory Days, la festa annuale dedicata a Bruce Springsteen e ai suoi fan.

Sono stati tre giorni eccezionali, in cui ho cantato, urlato, ballato, giocato a pallone, visto tanti amici, bevuto un numero forse troppo alto di birre, recuperato dischi (prossimamente arriveranno le recensioni di No Way Back dei Miami & The Groovers e Pontchartrain di Cesare Carugi), varie, eventuali.

E poi, inevitabilmente, ecco arrivare le polemiche, che ormai sembrano un brutto vizio della compagine springsteeniana.

Per farla breve, la polemica era sul fatto che ai Glory Days sia giusto o meno che gli artisti propongano non solo le cover di Springsteen ma anche le loro canzoni originali.

Partiamo dicendo che gli artisti di questa edizione erano molti: Hernandez & Sampedro, Daniele Tenca, Daniele Rizzetto, Miami & The Groovers, Lowlands, Antonio Zirilli e tanti altri.

Tutta gente che non si vergogna certo a dire di essere cresciuta a pane e Springsteen, di aver imparato a strimpellare qualche nota proprio ascoltando le sue canzoni, e di averle poi smontate, rimontate, studiate, imparate, riproposte, suonate, tra le mura di casa o davanti a un pubblico.
Troppo spesso si sente dire che questo o quel pezzo non valgono nulla perchè "ci sono solo tre accordi". Perchè un'enorme parte delle canzoni più belle, più conosciute e più suonate al mondo si basano su tre, quattro, cinque accordi, difficilmente di più, e una volta che capisci come far funzionare quei tre accordi, bè, ti viene voglia di provare a farli funzionare in un altro modo, di fare canzoni tue, e magari, inconsciamente, capiterà che quella canzone "nuova" somigli un po' troppo a qualche brano di Springsteen e compagni, e allora magari ti darai da fare un altro po' fino a che non avrai ottenuto una vera canzone originale, sperando che suoni bene.

Tutto questo per dire che certo, gli artisti che suonano ai Glory Days hanno o hanno avuto come riferimento Bruce Springsteen, ma poi hanno trovato la loro direzione, e hanno fatto canzoni loro, in italiano o in inglese, e il miglior omaggio a Springsteen è proprio salire sul palco e proporre pezzi originali, come faceva lui più di quarant'anni fa.

Tutto questo lo springsteeniano talebano e integralista non lo capisce, non lo tollera, non lo vuole sentire.

E purtroppo lo springsteeniano talebano e integralista è quasi sempre lo stesso che va davanti agli stadi tre giorni prima, che ascolta solo Springsteen e pensa che tutto il resto della produzione musicale mondiale sia letame, e poi magari non conosce neanche le parole dei pezzi di Bruce, anche se per lui sono il vangelo.

Speriamo ce ne siano sempre di meno.

E, nel dubbio, viva la musica originale.

p.s. so perfettamente che nel video i Lowlands non cantano una loro canzone ma un pezzo dei Replacements. Ma leggetevi e ascoltate il testo.