lunedì 31 dicembre 2007

Vecchi amici

Eh già, anche il 2007 è andato. E quindi, se a mezzanotte non avrete niente di meglio da fare, canticchiate la famosa canzone di Robert Burns:

Should auld acquaintance be forgot,
and never brought to mind ?
Should auld acquaintance be forgot,
and auld lang syne ?

CHORUS:
For auld lang syne, my dear,
for auld lang syne,
we’ll tak a cup o’ kindness yet,
for auld lang syne.

And surely ye’ll be your pint-stoup !
And surely I’ll be mine !
And we’ll tak a cup o’ kindness yet,
for auld lang syne.

CHORUS

We twa hae run about the braes,
and pou’d the gowans fine ;
But we’ve wander’d mony a weary fit,
sin’ auld lang syne.

CHORUS

We twa hae paidl’d in the burn,
frae morning sun till dine ;
But seas between us braid hae roar’d
sin’ auld lang syne.

CHORUS

And there’s a hand, my trusty fiere !
And gies a hand o’ thine !
And we’ll tak a right gude-willie-waught,
for auld lang syne.

CHORUS
Nel dubbio, ricordatevi anche del dialogo dell'immenso Harry ti presento Sally:

Harry: Mi dici che significa?
Sally: Cosa?
Harry: E' una vita che mi arrovello su questa canzone: cioè, il ritornello significa che dobbiamo dimenticare i vecchi amici, o che se li abbiamo dimenticati li dovremmo ricordare? Il che è impossibile, se li abbiamo già dimenticati...
Sally: Bè, forse significa che dovremmo ricordare che li abbiamo dimenticati... Comunque parla di vecchi amici.

BUON ANNO A TUTTI!!!

giovedì 27 dicembre 2007

Pit Stop

Per coloro che sono sopravvissuti alle abbuffate del trittico Vigilia-Natale-Santo Stefano, eccoci arrivati ai due giorni - lavorativi, per giunta - di pausa, un veloce pit stop prima di riattaccare con il lungo week-end che ci traghetterà poi verso il nuovo anno, con tanto di zampone, lenticchie, ancora panettone, e chi più ne ha più ne metta.

Nel frattempo, fa piacere vedere che la politica e le notizie inutili non si fermano nemmeno per le feste, ed ecco allora Brodo, evidentemente colmo di lambrusco (di quelli del discount, perchè lui sì che è un uomo di sinistra), che vaga tra Bologna e Reggio Emilia sfoggiando la sua espressione più intelligente, e arrangiando frasi senza senso compiuto su Berlusconi, prendendosi pure il cazziatone di Dini. E vabè.
Ma non basta: giornali e telegiornali continuano a offrirci le immagini delle vacanze del buon Sarkozy in Egitto, accompagnato da una modesta signora di mezza età di nome Carla Bruni. Il tutto con didascalie al vetriolo, critiche, dissociazioni. Sarà mica che, anche a Natale, il mondo brulica di invidiosi?

Detto questo, passiamo a cose più serie, ovvero i regali ricevuti. Fino a qualche anno fa, quando c'era ancora mia nonna buonanima, era lei a chiedermi cosa avessi ricevuto per Natale, e ammetto che mi rompevo anche un po' le balle a raccontarle tutto per filo e per segno. Ma da qualche anno non c'è più, e quindi a questo giro tocca a voi lettori sorbirvi il - breve, per carità - resoconto dei doni natalizi.

Come e più degli altri anni, ho ricevuto libri, in ordine sparso:

- Bruce Springsteen. Come un killer sotto il sole, a cura di Leonardo Colombati
- His Dark Materials, di Philip Pullman
- RSI, di Mimmo Franzinelli
- C'era una volta un re... ma poi morì, di Autori Vari
- Il mio giro d'Italia, di Jamie Oliver
più altri che al momento mi sfuggono. Al di là della mera cultura, mi sono arrivati:

- una bicicletta nuova fiammante (ricorderete che mi avevano rubato la mia sotto casa)
- un contakm per la bici di cui sopra
- un grembiule per il barbecue
- un telecomando universale marchiato Juventus
- maglie, magliette, maglioni ad libitum
- vini, vinelli, moscati, liquori, libagioni ad libitum
e credo basta.

Non è andata così male, in fondo. Altro giro altro regalo. ;-)

lunedì 24 dicembre 2007

Oh! Oh! Oh!

Eh, ormai ci siamo.

Siete pronti a sedervi ore intorno a tavole imbandite, a ingozzarvi con ogni sorta di leccornia, a bere come e più del solito, a chiacchierare di tutto e niente con amici e parenti, a scartare regali, e poi ricominciare tutto daccapo?

Manca poco, pochissimo.

E quindi, visto che mancherà anche solo il tempo sbirciare un attimo il computer, vi faccio adesso i miei migliori auguri di

BUON NATALE!!!

You better watch out
You better not cry
Better not pout
I'm telling you why
Santa Claus is coming to town

He's making a list
And checking it twice
Gonna find out Who's naughty and nice
Santa Claus is coming to town

He sees you when you're sleeping
He knows when you're awake
He knows if you've been bad or good
So be good for goodness sake!

OH! You better watch out!
You better not cry
Better not pout
I'm telling you why
Santa Claus is coming to town
Santa Claus is coming to town
Santa Claus is coming to town

mercoledì 19 dicembre 2007

Santa Claus is coming to Paris


Lunedì scorso Bruce Springsteen & The E Street Band sono tornati a Parigi, dopo quattro anni e mezzo circa.

E quindi, dopo quattro anni e mezzo circa, ci sono tornato anch'io.

Ora, a parte il freddo bestia, che più volte ha spinto la temperatura al di sotto dello zero, la due giorni parigina (sono partito domenica per tornare ieri sera) è stata strepitosa: ottima compagnia (dividevo la stanza con tre fan napoletani, e ho avuto modo di incontrare con la dovuta calma un ampio numero di facce conosciute arrivate da tutta Italia, nonchè molti fan stranieri - i francesi erano il meno, alla fine), organizzazione un po' confusa sulle prime ma poi ineccepibile, nessun litigio, civiltà, palazzetto accogliente e con un'acustica buona, partecipazione del pubblico, ottimo concerto.

Già, il concerto: scaletta lievemente inferiore a quella milanese, ma grandi momenti, come No Surrender e Night subito dopo Radio Nowhere, Because the night con un fantastico assolo di Nils Lofgren (finalmente!), la prima strofa di The River cantata solo dal pubblico. Senza contare, nei bis, l'assolo sciogliginocchia di Clarence su Jungleland, perfetto e fantastico, la chitarra di Elliot Murphy ospite su Dancing in the dark, e la stupenda Santa Claus is coming to town finale, con tanto di E Street Band al completo con cappello da Babbo Natale in testa (vedere per credere, c'è già il video su YouTube).

Bruce energico e divertito, band in grande spolvero (se vogliamo trovare un difettuccio, Soozie ha sbagliato l'intro di Jungleland, e amen), chitarre a tutto spiano, bandiere italiane ovunque, a riprova del fatto che, incuranti dei kilometri e del freddo, lo seguiamo ovunque. Tanto che, verso fine concerto, lo stesso Bruce si è messo a indicare almeno una decina di persone nelle prima file, dicendo "italian! italian!". Bè, ormai ci riconosce, sono cose che fanno piacere.

Come ha detto lo stesso Springsteen, "see you in the summertime!". Anche se, a dirla tutta, mi sa che ci rivederemo prima.

venerdì 14 dicembre 2007

Am I good? Am I evil?

Come ho già avuto modo di dire altre volte, sono un appassionato (diciamola tutta: un fanatico) dei telefilm americani.
Sono ormai più che convinto che siano il vero prodotto televisivo del presente e del futuro: i film sono destinati ai multisala ipertecnologici, ai dvd e, tra non molto tempo, ai blue-ray ad altissima definizione, mettendo definitivamente nel dimenticatoio le vecchie vhs che molti di noi hanno ancora in casa, da qualche parte.
La televisione italiana, salvo rarissime eccezioni (mi vengono in mente i programmi di Fiorello, assente ormai da anni dalla tv, o quelli di Roberto Giacobbo, e pochissimo altro), è inguardabile, sia per la farcitura totale di pubblicità che per la qualità dei programmi stessi, che sembrano costruiti ad hoc per cerebrolesi, pensionati e, di fatto, basta.

Sono pochissimi i serial italiani che rispondono "presente!" all'appello, lasciando invece ampio spazio a sceneggiati e fiction, con risultati molto altalenanti: il film tv in due puntate andato in onda un paio di mesi fa su Rino Gaetano, per fare un esempio, si salva giusto per la recitazione dell'ottimo Santamaria, ma per il resto faceva acqua un po' da tutte le parti.

Oltreoceano, invece, lì sì che ci sanno fare.

Confezionano serial di altissima qualità come Lost, 24, Heroes e, nuovo fenomeno, Dexter.
Basato sul romanzo "Darkly dreaming Dexter" di Jeff Lindsay, il telefilm racconta la storia del serial killer buono Dexter Morgan, ematologo per il Miami Metro Police Department di giorno e giustiziere di notte. Il tutto con trame ottimamente scritte, personaggi credibili (su tutti, il detective di colore James Doaks e l'ispanico Angel Batista) e caratterizzati in modo egregio, dialoghi scritti da mani sapienti, ritmo come si deve, varie, eventuali.
Neanche a dirlo, va seguito esclusivamente in originale: il doppiaggio italiano, pur non essendo pessimo (curato da Fox Italia) perde per strada i vari accenti dei personaggi, oltre alla cadenza del protagonista, accento importante per il delinearsi del suo character.

Dubito che Dexter valicherà mai i confini di Sky per approdare sulle reti generaliste: il pubblico italiano non è pronto, la violenza fisica, verbale e psicologica che è dipinta sulla superficie del serial difficilmente convincerebbe le alte sfere di Mediaset o Rai a sobbarcarsi il prodotto in chissà quale fascia (e anche negli USA, onde evitare problemi, sta andando in onda su Showtime). Ma nel 2007 (quasi 2008, via), nell'era di internet, tutti sappiamo che per procurarsi una puntata di questo o quel telefilm basta un clic sul mouse. E non facciamo i bacchettoni sul fatto che sia più o meno legale, che siamo a Natale.

Dexter vale la pena di essere visto, senza se e senza ma.

domenica 9 dicembre 2007

Libertà, arcobaleno, panettone

Come i miei lettori più attenti avranno notato, è un po' che non scrivo nulla sulla situazione politica in Italia.

Un po' perchè mi sento - come tutti, immagino - preso in giro ogni volta, e un po' perchè, lo confesso, sto cercando di capire qualcosa anch'io, di avere le idee più chiare.

Dunque, cerchiamo di ricapitolare: un bel giorno Berlusconi, probabilmente rinvigorito ed eccitato dalle autoreggenti della sciura Brambilla, sbarella, si issa sulla vettura presidenziale in quel di piazza San Babila, sfodera il sorriso e la tempra dei bei tempi, e annuncia ai meneghini la nascita di un nuovo partito, con il nome del tutto vago, ma si capisce che c'entrerà qualcosa la parola Libertà. Tutti noi rimaniamo un po' scettici davanti ai TG, Veltroni perde un paio d'anni di vita, l'asse Fini-Casini-Bossi schiuma di rabbia, Bertinotti si accende un sigaro e Prodi... boh, avrà dato il mangime alle galline, per quello che conta.

Detto questo, la bassa lega del giornalismo televisivo (leggi: Porta a Porta e Matrix) gongolano, e dedicano milioni di puntate all'accaduto, ovviamente con un nulla di fatto. Nel frattempo Berlusconi si dà da fare e si lancia in pranzi, cene, merende, intervalli con gentaglia di dubbio gusto, in primis con Gualtiero Veltroni, per dare un colpo al cerchio e uno alla botte e portare a casa la nuova legge elettorale.

Rifondazione, per non essere da meno, decide di archiviare felce e mirtillo, e si unisce con Comunisti Italiani, Verdi e Sinistra Democratica nella nuova e sfavillante Sinistra Arcobaleno, con un logo talmente orrendo che in confronto Rosi Bindi sembra Naomi Campbell.

Ultimo ma non meno importante, Gianfranco Fini, da sempre convinto di poter ricoprire la carica di premier al primo segno di cedimento del Silvio, si altera leggermente (diciamola tutta: si incazza come una bestia) e si lascia andare a dichiarazioni pesanti, tipo "Se pensa di fare l'asso pigliatutto degli elettori di centro destra è meglio che se lo tolga dalla testa" e amenità del genere. Questo provoca, neanche a dirlo, reazioni scomposte di Cicchitto, Bondi, Bonaiuti, la banda bassotti del Berlusca.

Questa la situazione politica a oggi. Leggermente confusa, direi.

Ma a parte questo, la domanda è: chi ci sarà al tavolo di Natale a mangiare il panettone?

mercoledì 5 dicembre 2007

I miei 2 cent su TichetUan

Da qualche anno (almeno cinque, direi) gli appassionati di musica, sport, eventi vari ed eventuali ben conoscono - e per lo più odiano visceralmente - il sito Ticketone. Purtroppo, con il tempo, il rapporto è diventato di odio-amore, perchè, in combutta con altri simpaticoni, Ticketone è diventato il più grande concessionario internet di eventi in Italia, con la conseguenza diretta, di fatto, che se vuoi andare a un concerto, una gara di MotoGp, un musical e simili, e vuoi comprare il biglietto in rete, o passi da loro o picche.

Non solo: oltre ai diritti - un assurdo 15% sul prezzo del biglietto, per legge - di prevendita, Ticketone sfila dal portafoglio anche una percentuale intorno al 10% aggiuntiva, senza contare, il più delle volte, altri 10 euro di spedizione con corriere espresso. Oltre al danno la beffa, quindi.

Ma non finisce qui. Con la quantità infinita di denaro che questi signorotti si mettono in tasca, ci si aspetterebbe quantomeno un servizio di prim'ordine, modalità di acquisto semplici e funzionali, messaggi chiari e inequivocabili. Peccato che il braccino sia davvero corto, e quindi ecco che i server funzionano un po' come hanno voglia, con il risultato che nel migliore dei casi non si riesce a entrare nel sito, nonostante ripetuti e costanti tentativi. E non è detto che, una volta inseriti nel dedalo di dati telematici, si riesca a portare a casa il risultato: pagine inesistenti, caricamenti infiniti e problemi tecnici sono dietro l'angolo, in ogni momento, cinici e inevitabili.

Per cercare di ovviare - ma è solo uno specchio per le allodole - al palese malfunzionamento del suo sistema, Ticketone si è inventato qualche tempo fa un sistema di "waiting room": in pratica, ti lascia entrare nel sistema e compiere il primo passo dell'acquisto, salvo poi metterti in fila, come dal salumiere. Viene assegnato un numero, e il sistema continua a servire progressivamente chi è arrivato prima, fin quando arriva il turno. Ma anche qui, non va sempre tutto liscio, anzi: il programma di numerazione e avanzamento automatico si pianta, si blocca, salta, rimanda alla pagina iniziale, cancella l'ordine virtuale impostato all'inizio, varie, eventuali.

Per farla breve: volendo risparmiare su hardware e software, il servizio che viene fornito è davvero pessimo. Dal 2002 a qualche giorno fa ho avuto una discreta fortuna, e sono riuscito quasi sempre a portare a termine gli acquisti, con qualche difficoltà non insormontabile. Ma l'altra sera, cercando di comprare i biglietti per il concerto di Bruce Springsteen a San Siro il prossimo 25 giugno, sono rimasto ingarbugliato nel labirinto virtuale più insensato e fastidioso della rete, e ho poi dovuto optare per la fila davanti a una biglietteria, come ai vecchi tempi.

Dico tutto questo a ragion veduta: nel corso degli anni ho comprato biglietti - sempre tramite internet - negli USA, in Inghilterra, in Francia, in Spagna: il circuito Ticketmaster può avere tutti i difetti del mondo, ma è efficace come pochi altri, mai un segno di cedimento, mai cadute di server.

E, soprattutto, mai cadute di stile. Che abbondano invece nel terreno minato di Ticketone.

lunedì 3 dicembre 2007

La partita di pallone

Sabato sera si giocava Milan-Juve, una classica del calcio italiano.

E io, con già una settimana di appuntamenti bella pesante alle spalle, non potevo certo starmene a casa a guardarla comodamente seduto sul divano. Così, con tutto il casino per la reperibilità dei biglietti, i documenti, le carte di identità, tric trac e via dicendo, ho recuperato un paio di tagliandi e sono andato a San Siro.

Sfortuna ha voluto che, nell'ordine: 1. alla fiera vecchia di Milano ci fosse la kermesse dell'artigianato, con conseguenze disastrose sul traffico già abbastanza intasato nelle vicinanze dello stadio; 2. ci fosse proprio quella sera lo sciopero del tifo, con quindi giusto cinque o sei cori - per entrambe le squadre - per tutti i 90 minuti di gioco; 3. entrambe le squadre non fossero ai loro massimi livelli, e quindi la partita in sè non raggiungesse la sufficienza sul piano del bel gioco (eccezion fatta per una sabongia urticante di Trezeguet a martoriare un palo nel primo tempo).

A parte questi piccoli particolari, andare allo stadio è sempre un bel momento, figuriamoci a San Siro, la Scala del calcio italiano. In più, intorno a dov'ero io (primo anello verde) erano quasi tutti bianconeri e quindi, anche se il mio compagno di merende - nonchè vicino di seggiolino - Luca è uno sporco milanista, la compagnia era buona e non polemica, a parte qualche più che giusta recriminazione sull'arbitro o su questo o quel giocatore, da ambo le parti.

E poi è un bel momento anche quello in cui si esce lentamente dallo stadio, per assieparsi intorno ai vari chioschi, scegliendo con cura quello più unto, onde ingurgitare un panino salamella-cipolle-peperoni-crauti-maionese che si trova davvero solo dai porchettari più malfamati. Se a questo aggiungiamo che io ho bissato l'esperienza con un panzerotto di dimensioni gargantuesche che colava olio motore da tutte le parti, si può facilmente capire il perchè della mia soddisfazione a fine serata, nonostante uno 0-0 che non fondo non ha fatto felice nessuno.

Se fegato e stomaco reggono, il prossimo appuntamento è per il 13 aprile 2008, Stadio Olimpico di Torino, Juventus-Milan.

giovedì 29 novembre 2007

Magic Night


Ieri sera ero al Forum di Assago, e suonavano, siori e siore, Bruce Springsteen & The E Street Band.

A dirla tutta, io al Forum ero già intorno alle 23 di martedì sera, e quindi ho partecipato alla grigliata tra centocinquanta e rotti springsteeniani pazzi, all'appello delle 3, a quello delle 6 con annessi vigili del fuoco, a quello delle 8, alla coda delirante e al freddo dinnanzi ai cancelli, alla distribuzione degli agognati braccialetti per il pit e all'ingresso su e giù per le scale - grazie a chi ha progettato le entrate del palazzetto - rischiando caviglie, ginocchia, vita. Che diamine, se si vuol fare una cosa la si fa bene, qui mica siamo signorine.

Comunque, dicevo, suonavano Bruce Springsteen & The E Street Band. Ed è stato un signor concerto. Il mio dodicesimo, che non saprei al momento infilare nella mia personalissima graduatoria, ma comunque due ore e venti tirate di grande musica.


Inizio al fulmicotone, con Radio Nowhere seguita a ruota da The ties that bind e Lonesome day, e poi, dopo pochi pezzi, ecco che infila una Adam raised a Cain pazzesca e cattiva, con le chitarre elettriche a inseguirsi rabbiose. E poi, dopo qualche pezzo, una breve introduzione, che sembra quasi una dedica, e poi partono quelle note dal piano di Roy Bittan. In quel momento, come faccio spesso in questi casi quando arriva una canzone davvero speciale, non ho neanche cercato lo sguardo di qualche fan di vecchia data, sono rimasto io stesso senza parole, pelle d'oca, quasi i lucciconi. Perchè Incident on 57th street è una delle mie dream songs, difficile da sentire dal vivo, figuriamoci full band e in Italia. Ed è stata pazzesca, sentita, bellissima, e, come se non bastasse, seguita a ruota da E Street shuffle.
E poi ancora musica, senza un attimo di pausa, fino al trittico Tenth Avenue Freeze-Out, Thunder Road, Born to run, una dopo l'altra, con un'altra pioggia di emozioni, per poi chiudere il sipario con Dancing in the dark e American Land, con tanto di testo a scorrere sugli schermi giganti.

Ma al di là dei titoli, le emozioni sono state il cuore pulsante della serata di ieri. Bruce era carico a mille, e il pubblico (almeno, parlo per i 500 del pit, me compreso) ha risposto più che bene, con il trasporto, l'affetto, l'energia dei momenti migliori. Avendo già in mente la prossima tappa italiana certa, ovvero San Siro, 25 giugno 2008.

Ma prima, per un buon numero di pazzi fans italiani - e io sarò tra questi - ci sarà la trasferta a Parigi, per il concerto del 17 dicembre, appena in tempo per un regalino di natale targato Springsteen.

lunedì 26 novembre 2007

Mondo ladro

Oggi mi hanno rubato la bici.

Ma non in giro, in qualche quartiere malfamato, in un banlieue di Parigi in fiamme, nel Bronx. No, nel cortile di casa. Dove, come sempre, l'avevo lasciata, nella rastrelliera delle bici, senza catena. Dove è rimasta per tutta l'estate, senza mai un problema.

Solo che, tac, si vede che con questo freddo qualcuno ha sentito il bisogno di una bici nuova.

Nuova, poi, parliamone. Aveva almeno quindici anni, freni che andavano per i fatti suoi, manubrio un po' ballerino e gomme da rimettere a posto. Ma non è quello il punto.

Mi fa girare vorticosamente gli zebedei il fatto che qualcuno, causa il fatto (imbecille, da parte di ogni condomino) che il portone è raramente chiuso, più spesso accostato, è entrato in pieno giorno nel cortile, ha inforcato la bici che gran parte delle persone sanno essere mia (non siamo in mille nel palazzo), e con tutta calma si è dileguato. E la cosa mi fa alterare ancora di più nel momento in cui penso che oggi è toccato alla bici, ma domani sta gente potrei ritrovarmela in casa, o per lo meno che cerca di entrarmi in casa.

E questo a Vercelli, non in chissà quale metropoli colma di pericoli e criminali.

Rimane il fatto che, oltre alla feroce ira che mi attanaglia, adesso sono anche senza bici. Vabè che fa freddo e che la usavo di meno in meno, però, signori, un po' di rispetto.

E quelli là parlano di welfare, popolo, libertà, ectoplasmi, proporzionali, pipim pipum e pipera.

Ci sono ancora i ladri di biciclette di De Sica, va là.

mercoledì 21 novembre 2007

Incipit

I.

Lo scroscio continuo della pioggia, quasi un respiro a scandire la notte, non la lasciava dormire.
A nulla era servito il bicchiere di latte - tiepido, rigorosamente scaldato in silenzio - dell'una e mezza, i venti minuti di inutile chiacchiericcio televisivo delle tre, lo scorrere dei messaggini sul cellulare delle quattro e un quarto, e nemmeno, prossimi più che mai all'alba, stava avendo alcun effetto quello sguardo lanciato verso la metà vuota del letto, le braccia gettate verso il vacuo morbido del cuscino, in cerca di conferme o smentite per cui non era sicuramente l'ora.
stanca di dare la caccia alle ombre del buio, sollevò lentamente il lenzuolo, con una smorfia di stanchezza e malavoglia, e stese piano la mano sotto il pigiama a pois, fermandosi sulla pancia, giocando con l'indice intorno all'ombelico, e poi ancora, appoggiando entrambe le mani ai due lati di quel piccolo centro del mondo.
il trillo elettronico, asettico e fastidioso, la svegliò dopo poche ore - minuti - di sonno, trovandola come si era addormentata, la maglietta appena sollevata, le mani sulla pancia, ferma, serena, come una bimba.

venerdì 16 novembre 2007

Inciso nel legno


Non sprecherò parole sull'approvazione della Finanziaria nè sul toccata e fuga di Dini, lasciamo perdere.
E, già che ci siamo, non butterò via righe nemmeno sulla truce vicenda di Meredith, Amanda, Nubumba e compagnia bella, che quasi potremmo ribattezzare "Garlasco 2 - Il sequel", per la sete di cronaca nera che hanno giornali e Tg.

Oggi parliamo di cose serie.

Ieri ho ripreso in mano la mia chitarra.

Non quella acustica, che bene o male suono appena ho un attimo di tempo (e ultimamente sono pochi), ma quella elettrica, verso la quale, lo ammetto, sono sempre stato un po' pigro.
Perchè bisogna prenderla, estrarla con cura dalla custodia, tirare fuori i cavi, inserire il jack, accendere l'accordatore, controllare che ogni corda suoni nel modo giusto, accendere l'ampli, settare riverbero, bassi e tutto il resto nel modo congeniale e poi, finalmente, attaccare il primo accordo.

Senza contare che, essendo della vecchia scuola, non concepisco minimamente quelle sottospecie di accrocchi moderni, per lo più prodotti in Cina o chissà dove, con materiali scadenti o comunque di seconda scelta. Per quanto riguarda le elettriche, il mio sguardo ristretto mi spinge solo e soltanto verso Fender, avendo un enorme rispetto per la rivale di sempre Gibson. E basta, le altre marche non mi piacciono, non mi attirano, non mi interessano.
Tornando alla Fender, il mio essere totalmente snob e integralista mi spinge - di nuovo - solo e soltanto verso le chitarre prodotte negli USA, secondo tutti i crismi: legno giusto e massiccio, e quindi, va da sè, pesante.

Come ho detto prima, la pigrizia fa da padrona, ed è per questo che, a parte momenti particolarmente brillanti, ho - mea culpa - trascurato un po' la mia chitarra elettrica. Che poi, altri non è che una Fender Telecaster 1952 Reissue, mica bruscolini.

Comunque sia, ieri l'ho ripresa in mano, l'ho accordata, ho settato l'ampli, ho inforcato la tracolla e ho fatto un paio di pezzi, con alterna fortuna.

Ma dà sempre e comunque una grande soddisfazione, quando colpisci con il plettro la prima corda, e trasformi quel brusio di fondo dell'amplificatore in musica.
E dà ancora più soddisfazione quando una chitarra riesce a trasmettere a chi la suona un minimo di vissuto. Nella mia mente malata, non attraverso qualche macchia che, prima o poi, va a sporcare il manico, e nemmeno negli evidenti segni che il passaggio del plettro lascia sul battipenna. No, quello che fa sorridere di più è quella serie di piccoli e grandi graffi e segni che si trovano sulla parte posteriore della chitarra, lasciati dalle mille botte e sfregamenti contro la cintura. Sono unici, ricordi di tentativi, sudore, accordi sbagliati, riff gettati in fumo all'ultima nota, brani perfetti, assoli distorti, arrangiamenti deliranti, punk saltellanti, rock duri e via dicendo. In ognuna di quelle piccole tacche c'è qualcosa di irripetibile, unico e terribilmente personale.

Inciso nel legno della mia Fender.

domenica 11 novembre 2007

Il calcio è un'altra cosa

Solitamente aspetto qualche giorno prima di commentare un fatto di cronaca, lascio che le acque si calmino un attimo e che i dettagli prendano contorni più definiti.

Stavolta no.

Perchè stavolta si è davvero esagerato, e la situazione, già pazzesca, sembra del tutto fuori controllo.

Facendo un rapido riassunto di ciò che è successo: poco dopo le 9 di domenica mattina, una macchina di tifosi juventini in viaggio verso parma e una di laziali diretti a milano si incontrano in un autogrill vicino ad Arezzo. Qualche sfottò, i toni un po' accesi, forse qualche botta e poi finisce tutto lì. Dall'altra parte della strada, con almeno quattro corsie di autostrada in mezzo, dall'autogrill opposto, un poliziotto ("per sedare la rissa", diranno poi, nell'ignominia) si lascia prendere la mano e spara due colpi di pistola, uno dei quali colpisce Gabriele Sandri, 28 anni, semiaddormentato in una macchina dopo aver fatto il dj per buona parte della notte.

E già questa sarebbe una tragedia di per sè, con dei colpevoli, altro che tragico errore, come diranno poi. Ma la situazione si complica ulteriormente quando cominciano a diffondersi i primi dati sulla faccenda, che parlano di un giovane morto "in seguito ad una rissa tra ultrà" e nefandezze simili, falsità che nascondono il vero da una parte e aizzano le tifoserie.

Si decide di rinviare Inter-Lazio a data da destinarsi, e nel frattempo si diffonde la notizia ad uccidere Gabriele è stato un poliziotto. Tutte le tifoserie si uniscono contro le Forze dell'Ordine, e giù patatrac.

Mentre tutto questo accade, le alte sfere nicchiano. I questori rilasciano dichiarazioni vaghe. Nessuno se la sente di prendere decisioni. E, soprattutto, si confonde la triste morte di un ragazzo, avvenuta per un errore umano che non ha niente a che fare con il pallone, con la domenica calcistica, buttando dentro quasi tutti i moralismi possibili.

E, naturalmente, visto che è tutto fuori controllo e che è troppo difficile, ovvio, cercare un modo per aumentare la sicurezza dentro e fuori gli stadi, si comincia a dire che sì, la cosa migliore probabilmente è vietare ogni trasferta a ogni tifoseria, e quindi consentire l'accesso allo stadio ai soli tifosi casalinghi. In pratica, si costringerebbero migliaia di persone a starsene sedute sul divano a guardare la partita.

Guardiamoci in faccia. Con tutti gli interessi, tutti gli sponsor, tutti i soldi che girano intorno al pallone, una soluzione del genere è davvero praticabile? E' il segreto di Pulcinella, come quando avevano minacciato di sospendere sine die il campionato dopo la morte di Raciti.

Ma in Italia sono solo capaci di propinarci soluzioni di comodo di questo tipo, lanciando il sasso e nascondendo la mano. O sparando colpi di pistola in aria.

Il calcio è un'altra cosa.

giovedì 8 novembre 2007

Dollaro nero

Dal momento che ormai da giorni ogni TG ne parla in apertura, mi sembra quasi doveroso spendere due parole sui due argomenti caldi dell'economia di oggi: impennata del prezzo del petrolio e crollo del valore del dollaro.

Ci sono ormai pochi dubbi, il prezzo del petrolio è destinato a superare i 100 dollari al barile in un futuro molto prossimo, con un conseguente (ma non è così semplice) impennarsi del prezzo di benzina e gasolio nei nostri cari distributori. Non è così semplice, dicevamo, e proviamo a spiegare il perchè.

In breve, il costo che il petrolio grezzo ha oggi sul mercato si ripercuoterà realmente sul prezzo della benzina al dettaglio in un tempo quantificabile circa in sei mesi: in questo lasso di tempo, il petrolio deve essere comprato dalle varie compagnie, trasportato, sdoganato, raffinato, messo nelle cisterne e quindi consegnato al distributore.
Già. E nonostante questo invece, se oggi il costo del petrolio sale, domani salirà il prezzo dal benzinaio sotto casa. E andrebbe tutto bene, se la stessa cosa si potesse dire del ribasso. Ma è proprio lì che casca l'asino, perchè nel momento in cui le quotazioni scendono - miracolo! - tutti giù a lamentarsi che no, in realtà le cose non stanno così, perchè sei mesi fa il prezzo è salito, poi è sceso, poi è salito ancora, e mica si puù abbassare il prezzo solo perchè ieri il costo al barile è sceso...

Ci prendono in giro, lo sappiamo tutti. E quello che ci prende in giro più di tutti è lo Stato. Perchè sul prezzo che noi paghiamo per ogni litro di benzina, o gasolio, gravano ancora oggi delle accise che ormai dovrebbero essere pensionate o dimenticate, come ad esempio quella tirata fuori nel 1935 per la guerra in Abissinia e mai cancellata.
Risparmierò la storia delle accise, basti sapere che erano delle imposte sul carburante che i vari Governi hanno aggiunto al prezzo della benzina "una tantum" per cercare fondi per una determinata emergenza, salvo poi dimenticarsi di cancellarle.
Sulle accise, naturalmente, grava a sua volta un'Iva del 20%, che viene poi applicata anche allo stesso costo finale che vediamo pubblicizzato.

Quindi, se da una parte è giusto che i petrolieri e i vari gestori abbiano il loro guadagno, dall'altra è quanto mai vergognoso che lo Stato intaschi una quantità di denaro infinita facendo l'indiano.

In più ricordiamolo, il costo del petrolio si stima in dollari e, come tutti sappiamo, la crisi del dollaro nei confronti dell'euro è evidente, grazie anche ad una politica economica folle praticata in questi mesi dall'Europa. A questo punto, viene da chiedersi, usando numeri del tutto esemplificativi: se il prezzo del petrolio negli ultimi sei mesi è aumentato del 20%, e invece il valore del dollaro è diminuito del 25%, com'è possibile che io oggi paghi la benzina il 30% in più rispetto a sei mesi fa?
Domanda che rimarrà senza risposta, ovvio.

In chiusura, se il petrolio è destinato a superare i 100 dollari al barile, l'euro viaggia a velocità di crociera verso l'1,50 nei confronti della moneta statunitense. E con questo? Cos'è, vogliamo fare i fenomeni e dimostrare che la nostra moneta è forte? E dimenticarci qualsiasi tipo di esportazione, con una diminuzione dei rapporti diplomatici con i Paesi al di fuori dell'Europa e tutto quello che ne consegue.
Non sarebbe più furbo cercare un compromesso tra i tassi di sconto e quelli di interesse, far scendere di qualche gradino l'odiata moneta europea e tornare a parlare di cifre ragionevoli?

Ah già, ma noi non siamo in Europa, siamo solo in Italia, e il nostro Ministro dell'Economia è quel bamboccione di Padoa Schioppa. Lasciamo perdere.

domenica 4 novembre 2007

Corriere Medical Division

Si fa un gran parlare del Dottor House.

O, come sarebbe meglio dire, rispettando il titolo del serial USA, di House - Medical Division.

A ragione, perchè è un prodotto televisivo di tutto rispetto, con un grande protagonista, degli ottimi comprimari, pochissime cadute di stile nelle storylines, dialoghi scritti in modo egregio e via dicendo.

A torto, perchè qualche volta si esagera davvero.
E lasciamo perdere il doppiaggio italiano, che, pur non essendo - incredibile! - pessimo, per una volta, elimina comunque quel dedalo di piccolezze che fanno grande la recitazione degli attori. E lasciamo da parte anche il fatto che Canale5, la rete ammiraglia Mediaset, visti gli ascolti record di House, l'ha candidamente sottratto ai colleghi di Italia1 per tenerselo tutto per sè, stretto stretto.

Ma quello che ho letto stamattina mi ha lasciato a metà tra l'infuriato e l'esterrefatto.

Sulla prima pagina dell'augusto quotidiano Corriere della Sera di oggi, in basso a destra, campeggiava un terrificante articolo a titolo "Dottor House contro Bush: sanità per tutti" (leggibile integralmente qui), in cui la giornalista Alessandra Farkas, a mio avviso dopo una dose eccessiva di Vicodin (e chi segue House sa di cosa parlo), blaterava di un'invettiva sociale del medico televisivo, pronto a guidare una rivolta popolare con tanto di pugno chiuso, marciando sulla Casa Bianca.
Ora, se è vero che il Corriere è un giornale serio - ammesso che ne esistano ancora, in quest'Italia comunicativamente devastata - è vero anche che dovrebbe fare più attenzione alle castronerie del proprio staff, prima di buttarle nero su bianco sulla carta stampata.
E' chiaro infatti che la Farkas poco sa e ancora meno conosce di House, e quindi, ovviamente, non sa distinguerne l'ironia cinica e geniale dalla supposta verve neopolitica.
In sintesi, nell'ultima puntata del serial, andata in onda lo scorso martedì sugli schermi televisivi americani, House metteva in scena una piccola battaglia contro la direttrice dell'ospedale, la Cuddy per i non neofiti, battaglia che veniva ripetutamente combattuta a colpi di dispetti, ripicche e sgambetti. Nel momento clou della pugna, dopo aver messo sottosopra mezzo ospedale diffondendo la voce che la maionese della mensa era scaduta, il Dottore si trova nella gremita sala d'attesa del pronto soccorso, colma - ogni mondo è paese, in fondo - di malati immaginari, anziani e compagnia bella e, per gettare benzina sul fuoco, pronuncia queste esatte parole:

Who here doesn't have any health insurance?
Tch. Michael Moore was right.
MRIs, PET scans, neuro-Psych tests,
Private rooms for all these patients.
Fight the power!

E il "Michael Moore was right", che rimanda sicuramente alle accuse sociali formulate da Moore nella sua pellicola Sicko, di qualche mese fa, è indubbiamente detto per incendiare gli animi e creare confusione in reparto, e non certo per una qualsivoglia invettiva anti-Bush.
La Farkas, quindi, farebbe meglio ad informarsi, o quantomeno a togliersi le fette di salame dagli occhi, prima di buttare sulla carta l'inchiostro delle sue castronerie.

O forse, semplicemente, avrebbe bisogno di un bravo dottore.

Citofonare Gregory House.

venerdì 2 novembre 2007

ROMa ladrona

Ho aspettato un paio di giorni per scrivere due righe sull'omicidio di Giovanna Reggiani.

Tanti hanno detto troppo, non avevo voglia di confondere la mia voce tra le ovvietà blaterate da giornali, TG, gente comune, politicanti, razzisti, realisti.

I fatti mi cosano, come diceva un noto comico: Giovanna Reggiani è stata aggredita, seviziata e poi gettata in un fosso, nella periferia di Roma. Si è difesa con tutte le sue forze, ma poi non ce l'ha fatta. E' morta, mentre rimane in vita il suo assassino, il romeno Nicolae Mailat, ora accusato - e ci mancherebbe altro - di omicidio volontario.

Di qui, al di là dei moralismi, tutto un susseguirsi di orridi servizi televisivi, e soprattutto un batti e ribatti dei maggiori esponenti della Maggioranza e dell'Opposizione, come se a Roma ladrona ci si rendesse conto solo oggi dei palesi pericoli che le minoranze etniche hanno portato nel nostro Paese nel corso degli anni, grazie ad una politica sull'immigrazione quanto mai blanda e inefficace.

E Brodo, con tutta la sua sapienza (e con un certo bruciore sulla poltrona che non accenna a diminuire: prima Mastella che chiede un rimpasto di Governo in tempi brevi, e adesso questo marasma), cosa fa? Butta giù due righe e con un Decreto dà il potere ai Prefetti di espellere dall'Italia, oltre ai clandestini, anche quei cittadini comunitari ritenuti in qualche modo pericolosi. Con il solito sberleffo che fa durare l'espulsione soltanto tre anni, dopodichè tac, ecco che possono tornare da noi a farsi i comodi loro.

Una bomba a orologeria, in pratica.

Tutti giù a dire che la Romania è un Paese sicuro, in cui si vive bene e il tasso di criminalità è bassissimo. Certo, peccato che siano in pochi a dire che LA' viene quasi sempre applicato il massimo della pena per ogni crimine. Peccato che siano in pochissimi a dire che LA' la giustizia è nettamente più rapida che da noi. Peccato che quasi nessuno dica che i criminali romeni, avendo la vita un tantinello difficile in patria, siano venuti a fare i delinquenti in Italia. In pratica, tutti sanno e nessuno si azzarda a dire che la Romania è una nazione molto più europea della nostra, e che quindi è difficile comunicare con il loro Governo cercando di tenere il coltello dalla parte del manico.

In chiusura, una piccola parentesi politica, tanto per gradire. Noi abbiamo avuto il ventennio Fascista che, se da una parte ci ha fatto perdere la Seconda Guerra Mondiale, con tutto quello che ne consegue, per buona parte della sua durata ha fatto del bene all'economia, all'industria e all'agricoltura italiana. Dopo il 1945, dopo la fine della Monarchia, abbiamo avuto un susseguirsi di Governi a fasi alterne, ma con un'evidente difficoltà a gestire le sorti del Paese, il PIL, il debito pubblico, la sicurezza, i trasporti.
In Romania c'è stato Ceausescu, comunista, leader e dittatore dal 1965 al 1989. Con la Rivoluzione, la sua caduta e la conseguente esecuzione, la Romania è diventato un Paese libero, e con il collasso del regime ne ha solo guadagnato, da ogni punto di vista, non ultimo i rapporti con gli altri Stati dell'Unione Europea e mondiali.

Come dire, modi diversi di gestire la fine di una dittatura.

lunedì 29 ottobre 2007

Furfante ammeregano


Grazie ai potenti mezzi di internet, ieri sera mi sono gustato tutte le 2 ore e 37 minuti di American Gangster, pellicola che sbarcherà nelle sale italiane, complice la sapiente programmazione tricolore, solo a metà gennaio.

Che dire, il film è molto, molto bello.

E' costruito ad arte, per raccontare la saga criminosa di inizio anni '70 di Frank Lucas (Denzel Washington) che, morto il suo mentore, si dà da fare e riesce a sopravanzare tutti, famiglie mafiose comprese, in quel di New York, per diventare un vero e autentico gangster americano.

Dall'altra parte c'è l'onestissimo Richie Roberts (Russell Crowe) che mette su una squadra narcotici al volo e comincia a indagare sul traffico di droga di NY e del New Jersey, fino al momento in cui, inevitabilmente, la sua strada si incrocerà proprio con quella di Lucas.

A gestire i due premi Oscar, uno più bravo dell'altro (ma è Washington a tenersi quasi tutto il film sulle spalle) c'è quel vecchio volpone di Ridley Scott, che, presi appunti da Scorsese e De Palma, mette in scena un ottimo film, con un respiro volutamente ampio ma al tempo stesso un buon ritmo, senza sbavatura alcuna.

Una postilla: nei dialoghi sono abbastanza importanti i vari giochi di parole e soprattutto gli accenti dei personaggi, che temo andranno perduti nel doppiaggio. Una ragione di più per - potendo - guardarlo in originale.

venerdì 26 ottobre 2007

C-C-C Cambiamenti

La vita virtuale cambia, un po' al ritmo di quella reale e un po' no, come ho scritto qualche giorno fa.

E allora, sull'onda della riflessione, ho deciso di buttare una ventata d'aria nuova e cambiare un po' il layout e le impostazioni del blog. Niente di clamoroso, nessun cambiamento radicale, ma era una cosa che andava fatta da tempo, e che solo per pigrizia avevo continuato a rinviare.

L'opera non è ancora conclusa, ci saranno ulteriori piccole variazioni, ma il più è fatto.

Piacerà? Non piacerà? A me garba abbastanza, spero che siate della mia stessa idea.

E nel frattempo, tanto per non lasciare niente di sottinteso, c'è qualcun altro che dovrebbe capire che l'ora del cambiamento si avvicina. Infatti, mentre oggi lo psiconano Berlusconi viene assolto in cassazione dopo la lunga trafila del processo Sme, ieri il governo di Brodo veniva sconfitto a ripetizione. Non so più quante volte è stato brutalizzato, ho perso il conto intorno alle settima.

Tra i sorrisi sornioni del birichino Gualtiero Veltroni, che si fa scudo della kermesse del cinema romana per rimettere il mandato da sindaco della Capitale e dedicarsi in toto al Piddì, le schermaglie Di Pietro - Mastella e i tristi rantoli della fu Maggioranza, qualcuno dovrebbe comprare una bella agenda e capire cosa fare del proprio futuro.

The future is whatever you make it, diceva il saggio Emmett "Doc" Brown.

martedì 23 ottobre 2007

Ch-ch-ch Changes


Dall'arrivo di internet nelle nostre case, e a maggior ragione dall'arrivo della banda larga quasi ovunque e con canoni abbordabili, le cose sono cambiate, è inutile nasconderlo.

Negli ultimi anni, un florilegio impazzito di forum, blog, myspace, msn e quant'altro ha invaso, o occupato, il nostro spazio personale, rendendo l'interazione uomo-macchina, paventata già decenni or sono, ancora più attuale e vera, anche se parzialmente a livello inconscio.

Qualche tempo fa ho letto dati pazzeschi sulla quantità di tempo impiegato (ma talvolta sarebbe meglio dire, banalmente, perso) su internet, sia sul lavoro che nelle ore libere. Impressionante.
Se aggiungiamo le ore buttate a ciaciarare al telefonino, o a comporre meccanicamente messaggini (chi è senza peccato scagli la prima pietra), penso si arrivi a un monteore davvero inquietante.

E pensare che qui, una volta, era tutta campagna.

Nel senso che i blog NON C'ERANO. E nemmeno i forum, msn, myspace, sms, cell, tric trac troc.

Non sto parlando di preistoria, internet è arrivata più o meno nella metà degli anni '90, e i cellulari poco dopo il 2000 (parlo di un'invasione di massa, non di chi utilizza entrambi gli strumenti per lavoro).
Dieci anni, malcontati, e patatrac. Oggi siamo tutti qui non in grado di immaginare una vita senza cellulare (beato chi ne ha solo uno) o senza internet; già, come faremmo a campare, senza tutto il nostro traffico di mail internazionali o senza i nostri post sul forum preferito, atti essenziali per la salute del globo terracqueo.

Badate, non sto mettendo in piedi un'invettiva contro la tecnologia o la comunicazione sempre più allargata, ci mancherebbe. Solo che, nel momento in cui ci si ferma a riflettere un attimo, ci si accorge davvero di come le cose siano cambiate. Anche solo quest'estate, nei dieci giorni che ho trascorso in Grecia, senza computer e con un uso totalmente ridotto del telefonino, mi sembrava di essere tornato indietro di dieci anni, e non per forza in senso negativo.

Cos'è internet, in fondo, per chi non lo usa a livello lavorativo? Una grande piazza, un grande bar, una città, in cui ognuno pensa di essere libero di essere se stesso, e quindi di scrivere, ciarlare, disegnare, immaginare.

C'è qualcuno dietro a quell'avatar?

giovedì 18 ottobre 2007

Ho visto la luce (5 anni fa)




18 ottobre 2002.

Un treno preso nel cuore della notte, quando nemmeno gli anziani che bevono l'inevitabile bianchino sono già al bar sotto casa.
Cambio volante a Milano centrale, poi giù verso Bologna.
Sciopero generale. Di qualsiasi mezzo.
Qualche kilometro a bordo di un lungimirante pullman, poi un piede dietro l'altro, finchè la sagoma di un'enorme testuggine addormentata si staglia all'orizzonte.

Il PalaMalaguti.

Stasera suonano Bruce Springsteen & The E Street Band.

Per qualche strano motivo, e per una serie di casi incrociati, ho aspettato fino al Rising Tour per venire a vederli dal vivo, ma poco dopo le nove di mattina sono davanti ai cancelli, la transenna davanti al palco non me la leva nessuno. Nella fila - quasi - ordinata davanti al cancello 5, mi vergano un numero sulla mano con un pennarello, sarà il mio segno di riconoscimento e la mia salvezza, quando il sangue diventerà troppo caldo nelle vene e mancherà poco all'apertura.

Nel corso della mattinata e del pomeriggio, tra un panino - pagato a carissimo prezzo - con salamella e cipolla e una birra, faccio conoscenza con personaggi più o meno carismatici del sottobosco springsteeniano.
Perchè quando diventi springsteeniano lo devi capire, che compri tutto il pacchetto.
Non basta qualche vinile, qualche musicassetta o qualche cd. Non basta qualche sporadico concerto quando il tour tocca l'Italia.
Ci vogliono appostamenti davanti alle prevendite per i biglietti, ascolti meditati e ripetuti del nuovo disco, lunghi discorsi filosofici su questo o quel testo, notte all'adiaccio con il sacco a pelo incastrato sotto i cancelli di stadi e palazzetti, corse a perdifiato fino alla transenna, stigmate della transenna stessa sul costato, appostamenti davanti agli alberghi in ogni parte d'Europa o del mondo, feste di fan, chitarre acustiche nere, citazioni per ogni dove. Questo, e molto altro, vuol dire diventare springsteeniano.

Ma io, che ho sfoderato il mio primo cd di Bruce (un triplo, in realtà: "Live 1975-85") nel lontano 1986, sfuggendo per un soffio alla croce e delizia di Born in the USA, che ho poi recuperato con tutta calma e con tutti i suoi problemi poco più tardi, sono preparato.
Tanto che, quando dico in tutta tranquillità che spero non faccia Part man, part monkey perchè la considero uno dei punti più bassi di tutta la produzione, qualcuno strabuzza gli occhi, sfogliando mentalmente il catalogo di Springsteen senza trovare risposte.

Il pomeriggio scorre tranquillo, un po' di trambusto all'apertura dei cancelli, la corsa più veloce del mondo verso la transenna, l'assenza del pit, la presenza di un pugno di raccomandati (che vengono spediti nelle retrovie in poco tempo, che qui non è cosa da signorine), l'attesa che sale, e poi le luci che si spengono.

Tutto inizia, ed è un vortice, che va a mille all'ora dal primo all'ultimo pezzo. E oltre.

Sì, oltre, perchè quando Bruce si alza dal pianoforte, dopo aver suonato le ultime note di Thunder Road, saluta il pubblico e scende dal palco, quando i roadies cominciano a spuntare fuori da ogni angolo per mettere via tutto e prepararsi a una nuova tappa del tour, noi zoccolo duro non molliamo. Non molliamo, e urliamo il coro finale, ripetendolo con la grinta e il fiato che ci rimane.
E allora Bruce guarda fuori, ammicca, probabilmente guarda la moglie Patti con una smorfia che significa "che posso fare, mica posso rimanere qui sotto o andarmene via così", e torna fuori, a luci già accese, si siede nuovamente al piano e lascia partire le dita un'ultima volta, tra gli applausi, gli urli e qualche lacrima.

Perchè Springsteen è così, non sai mai cosa ci si può aspettare, ad ogni concerto, ad ogni occasione ne salta fuori una nuova.

Cinque anni dopo, ho undici concerti sulle spalle (107 canzoni ascoltate dal vivo, scusate se è poco), e altri due già in programma tra poche settimane.
Ma quel giorno, quel 18 ottobre 2002, ho visto la luce.

Nobody wins unless everybody wins. Come on!

lunedì 15 ottobre 2007

Democrazia Vera


Eh , alla fine ci sono state le primarie, il Partito Democratico, nani, comici, cantanti.

Diciamo la verità, hanno fatto di tutto per mantenere la serietà, consci probabilmente di essere ridicoli a prescindere da ogni iniziativa, poverini.

Già, poverini.

Tutti lì, nell'immediato post-voto, a fingere lacrime da coccodrillo, a inscenare abbracci, a sputare sorrisi e a bearsi - beoti - di più di tre milioni di votanti, accorsi alle urne come alla ricerca del Santo Graal, sperando in un nuovo Eletto a traghettare il Paese verso un eremo migliore. Tre milioni e passa di persone, "un sogno che si avvera", latra stolido qualcuno. Peccato però che, con i metodi squadristi messi in campo per queste primarie, tre milioni di votanti li avrebbe trovati anche Paperino. La regola voleva che potessero votare tutti i cittadini in possesso della tessera elettorale, nonchè gli extracomunitari con permesso di soggiorno e i minorenni con un minimo di 16 anni. E fin qui, nulla di strano. Ma la regola voleva anche che si potesse votare una volta sola.
E mentre Fassino, in tutta la sua imponenza, tuonava a SkyTg24 che le votazioni erano state del tutto regolari, Striscia la Notizia - forse unica roccaforte del giornalismo italiano, ricordiamolo - smascherava platealmente le urne di Ridolini, mostrando fino a cinque voti di una singola persona, senza problema alcuno. Tutti liberi di votare a ripetizione, una democrazia vera, dunque.

E ancora, il buon Gualtiero Veltroni, tutto gongolante per il suo 75% abbondante di preferenze. C'era qualche dubbio? Tra i sinistri, c'era forse una minima possibilità che venisse Unto Enrico Letta, con la sua faccia da giocatore incallito di Subbuteo? O ancora peggio Rosy Bindi, che tenta di svestire i panni della suorina parlando addirittura di peccato originale, quando i dubbi sulla sua inviolata virtù sono saldi in tutti quanti? Se gli avversari di Walter fossero stati degni di questo nome, si sarebbe potuto parlare di scontro, di confronto, di sfida. Ma in questo caso, già di nuovo, Paperino avrebbe preso più voti di Letta e Bindi, sicuramente. Per tacere di Veltroni.

Chiudo con il Mortadella, che ha fatto buon viso a cattivo gioco, probabilmente non capendo di quale gioco si tratti, e ha parlato di vittoria contro l'antipolitica, riferendosi - ovvio - al Grillo nazionale, vero e proprio sassolino ingombrante nelle scarpe di fin troppa gente.
Ma il Curato Bonario ha capito o no che chi si è recato alle urne per le primarie - a prescindere dal numero - ha messo un segno sulla scheda per cambiare qualcosa, in primis il Governo attuale?

Quanta confusione, in Italia.

giovedì 11 ottobre 2007

Computer per bambini

Ne ha parlato Beppe Grillo nel suo spettacolo di ieri sera a Novara, e giustamente sono andato a documentarmi.

Per farla breve, qualche anno fa il guru informatico Nicholas Negroponte, fratello del diplomatico John, si è messo al lavoro per inventare - letteralmente - un computer che costasse 100 dollari, da fornire ai Paesi del Terzo Mondo e nello specifico ai bambini, per poterli tenere più vicini al mondo civilizzato, e un minimo al passo coi tempi.

Gentaglia come la Microsoft di Bill Gates e altri colossi gli hanno riso in faccia e non si sono degnati di dargli una mano, probabilmente celando malamente una paura enorme, ovvero quella del crollo dei prezzi di mercato dei pc, con una conseguente perdita per tutti loro.

Ma oggi, dopo anni di studio, pare che l'XO-1 stia per diventare una realtà. Unico difetto, non costa 100 dollari, ma poco meno di 200, con un po' di sforzo si riuscirà a dimezzare il prezzo nel giro di qualche anno. Comunque sia, il costo diventerebbe l'ultimo dei problemi (anche se c'è già chi si lamenta e latra "i poveri non hanno 200 dollari!"), nel momento in cui si riuscisse davvero a raggiungere tutto il mondo o quasi, con questo strumento straordinario che è la Rete.

Il pc è di tutto rispetto: processore AMD, memoria flash da 1gb, 256mb di ram (non dimentichiamoci, stiamo parlando di Terzo Mondo) e, soprattutto, un wi-fi certificato 802.11. Non solo, alle spallucce di Microsoft e compagni hanno risposto vigorosamente i cultori dell'open source, ed ecco venir fuori un sistema operativo targato Linux, un browser targato Firefox e via dicendo.

Naturalmente, nel corso di questi anni di studio le notizie che sono arrivate sull'XO sono state poche e confuse, perchè, ancora una volta, è un progetto che in qualche modo va contro gli interessi dei colossi informatici mondiali. Ma, incredibile a dirsi, sul Magazine del Corriere della Sera di oggi c'è addirittura un articolo di due pagine sull'argomento, in bilico tra critica e lode, ma tutto sommato abbastanza neutro.

I tempi sono maturi, per questo computer per bambini che farebbe la gioia di tanti adulti? Non ancora, probabilmente.

Ma arriveranno.

Stay tuned.

p.s. altra cosa che ha detto Grillo, un blog senza commenti non ha senso, uno sta lì, racconta i fatti suoi e buonanotte. Visto che le visite - poche ma buone - ci sono, non esitate, gente, e commentate.

lunedì 8 ottobre 2007

Ragione per Credere


Come ho già avuto modo di scrivere, sono un fan accanito di Bruce Springsteen.

E quindi mi sono gustato i primi album "per pochi intimi", la parentesi acustica di Nebraska, ho attraversato la croce e delizia di Born in the USA, l'abbandono della E Street Band, i due dischi con gli Scalzacani, il tour solista di Tom Joad, il ritorno con la band, il Reunion Tour, l'11 settembre, The Rising, di nuovo il Bruce acustico e poi quello folk delle Seeger Sessions.

Dopodichè, si riattacca la spina e si torna elettrici. Con la band. La Band. La E Street Band.

Ci si poteva aspettare qualsiasi cosa da questo album, già dal titolo, "Magic". E, come ho detto, dopo molti ascolti il voto è sufficiente.
A mente fredda, però, il voto è solo sufficiente. Un sei in pagella. Che lascia l'amaro in bocca, diciamolo.
Canzoni che sembrano slegate tra loro, senza un fil rouge a unirle, prodotte in modo del tutto discutibile, con sovraincisioni infinite, che altro non fanno che sminuire la voce di Springsteen, ancora solida a 58 anni. La prima metà del disco, soprattutto, regala cose già sentite, poche novità, e il lato B migliora, senza dubbio, ma se è abbastanza semplice trovare brani di qualità, è invece molto difficile scovare un capolavoro, o qualcosa che rimarrà nel tempo.

Sudore freddo.

E dal vivo?

Bè, signori miei, dal vivo la E Street Band avrà anche un'età media sopra i cinquant'anni, avranno anche il fiatone e l'artrite, figli e nipoti staranno tirando la giacchetta e i talloni di Bruce gli faranno anche un male bestia dopo tutta la serata passata a pestare sul palco, ma fanno ancora la loro porca figura.

Ho visto il video di Reason to Believe, dalla serata di Hartford, lo scorso 2 ottobre, e mi è bastato.

C'è ancora una Ragione per Credere.

giovedì 4 ottobre 2007

Pagliacciate

Sono juventino, va detto.

E quindi va da sè che mi sia beccato per anni tutta la trafila delle mazzette agli arbitri e quant'altro, fino a Calciopoli, il vaso di Pandora che si scoperchia, un anno di Purgatorio in B, il ritorno in A, il buon inizio di questo campionato e via dicendo.

Ma, da juventino, non mi sono mai vergognato come devono aver fatto i milanisti ieri sera.

E non tanto per la prestazione sottotono o per la sconfitta contro un avversario del tutto abbordabile in Champion League, ma per la sceneggiata pessima di Dida. Ha subito gol? Sì, certo, quello è ovvio. Ma poi un tifoso, a fine partita, è entrato in campo e gli ha dato una carezza, un buffetto sulla guancia. E Dida - che, ricordiamolo, non è proprio un pigmeo - giù a inseguirlo, per un paio di metri, salvo poi crollare a terra in modo davvero vergognoso. Barella, ghiaccio in faccia e tutto il resto, roba che nemmeno Mario Merola.

Vedere per credere:









Che dire? Vergogna.

E pensare che adesso salta fuori un accordo quasi trovato con Buffon, prima di rinnovare il contratto a Dida fino al 2010...

lunedì 1 ottobre 2007

Cronache Sportive

Lunedì mattina.

Si torna al lavoro, si fanno file senza senso agli sportelli vari ed eventuali e, immancabilmente, si commenta il week-end di sport appena finito.

Che dire, di carne al fuoco ce n'è stata, e non poca.

Cominciamo col dire, con somma tristezza, che l'Inter ha umiliato la Roma all'Olimpico. E' stata una partita senza storia, quindi non perdiamo tempo a commentare e chiudiamola qui.

Sabato sera, poi, l'Italia del rugby ha concluso con onore la sua avventura mondiale. Senza nemmeno subire una meta dagli scozzesi, con qualche errorino di troppo ma senza sbavature madornali, il 18 a 16 che ci manda a casa è amaro, ma ci regala un po' di fiducia in vista del Sei Nazioni del prossimo inverno. Tristi ma bellissime le immagini finali, il saluto del capitano Troncon, che lascia in lacrime la maglia della Nazionale dopo 101 gare disputate (e più di 100 punti di sutura tra faccia e testa).

All'alba di domenica, sotto il diluvio universale della pista di Fuji, la Ferrari si complicava inutilmente la vita montando gomme intermedie, con cui ovviamente galleggiava sul lago giapponese, rendendo le rosse del tutto simili a gommoni impazziti. Alonso, probabilmente troppo impegnato a inventare nuovi insulti per Hamilton e per la McLaren, pensava bene di andare a schiantarsi contro un muro, mettendo buona parte del titolo nella cassaforte del compagno di squadra. Siamo ormai alla fine del campionato, le speranze riposte in Raikkonen rimangono davvero poche.

Per chiudere la domenica sportiva, dopo un "clamoroso a San Siro", con il Milan che riesce appena a raggiungere un pareggio su rigore con il Catania, la Juventus vince il derby di Torino, con un gran gol al 93' di Trezeguet. E giù tutti a pontificare su fuorigioco e via dicendo, ma c'è poco da fare. Rete regolare, triplo fischio, tutti a casa.


Senza dimenticare, con un pizzico di campanilismo più che giusto per le Bianche Casacche, che la Pro Vercelli ha vinto in casa 2 a 0 con il Pergocrema, disputando una grande partita. Finalmente.

venerdì 21 settembre 2007

Nel Paese dei Grilli (e compagnia bella)

Succede di tutto, in questa fine d'estate (o inizio d'autunno, che dir si voglia).

E così succede che qualche giorno fa, cercando di mascherare ignobilmente gli echi del V-Day, i TG e i quotidiani d'Italia abbiano lanciato l'allarme contro i fast food e il "mangiar male" in generale, dicendo che sì, è vero, siamo noi italiani che teniamo alta la bandiera della dieta mediterranea, ma in fondo siamo dei patacca, e quindi preferiamo imbottirci di schifezze protoammeregane, e quindi giù di hamburger e tristezze varie.
Ora, io ero un fan della prima ora di McDonald's, va detto. Mi pento e mi batto il petto. Illuminato dalla grande M gialla a stelle e strisce, rea di offrire a tutti, in tutto il mondo, lo stesso identico panino, che riempie, gonfia, sfama in pochi minuti - salvo poi lasciare un grande senso di vuoto poco dopo - ho apprezzato, in gioventù, i fasti del Burghy di piazza San Babila, e dei Mc successivi. Poi, in grazia di non so quale santo, sono stato folgorato sulla via di Damasco, e ho giurato di non mettere mai più piede in postacci del genere, salvo qualche capatina da Burger King, anni luce superiore, o ancora meglio da Luini, paladino del panzerotto meneghino.
Al di là di questo, tabula rasa sui fast food. Un panino al prosciutto, in apparenza più triste e quasi in pensione di uno straripante cheeseburger, dà in realtà molto più soddisfazione, oltre ad essere, neanche a dirlo, molto più sano.


E succede anche che un comico (ma ormai definirlo solo tale è oltraggiosamente riduttivo) scenda in piazza e si porti dietro milioni di persone in tutto il mondo, difendendo il baluardo di tre semplici, piccole, enormi proposte: 1. No ai parlamentari condannati. No ai 25 parlamentari condannati in Parlamento - Nessun cittadino italiano può candidarsi in Parlamento se condannato in via definitiva, o in primo e secondo grado in attesa di giudizio finale.
2. Due legislature. No ai parlamentari di professione da venti e trent'anni in Parlamento - Nessun cittadino italiano può essere eletto in Parlamento per più di due legislature. La regola è valida retroattivamente. 3. Elezione diretta. No ai parlamentari scelti dai segretari di partito - I candidati al Parlamento devono essere votati dai cittadini con la preferenza diretta.

In un Paese civile, non ci vedrei niente di assurdo, anzi. Ma siamo in Italia, e allora giù di politici che sentono bruciare la seggiola e quindi si lamentano o minimizzano la manifestazione, mentre le principali testate giornalistiche si imbizzarriscono e ne parlano a più non posso.

In questi scampoli d'estate, succede anche che, per l'ennesima volta, i nostri beneamati politici si azzuffino per le poltrone del Consiglio di Amministrazione Rai, vadano tronfi in Senato per porre fine alla querelle e il buon Clemente Mastella, palesemente confuso sul proprio schieramento d'appartenenza, decida di non appoggiare l'Unione (unita più che mai, che dire). Sudori freddi colano sulla fronte già aggrottata del Mortadella, quand'ecco che Storace, onde farsi bello e dimostrare ai vecchi camerata di aver ancora qualche (discutibilissimo) asso nella manica, salva capra e cavoli, offrendo il suo aiuto al Curato Bonario. Morale della favola: nulla di fatto, sinistra in crisi e sussurri di un ritorno alle urne non troppo lontano.

E infine, a Salsomaggiore Terme, dove dovrebbero regnare tranquillità, bellezza e, al limite, qualche piccola scaramuccia sulle varie nuances di rossetto da spartire tra le Miss, succede invece che il quasi centenario Mike Bongiorno, troppo preso dall'ansia di imitare le ben conosciute gags di Fiorello, perda un tempo eccessivo a scherzare proprio con il mattatore siciliano, facendo inviperire colei che lo avrebbe affiancato nella conduzione delle lunghe serate di Miss Italia, Loretta Goggi. Al che la Goggi si altera, piange, tira calci e pugni, esce sul palco brillante e tranquilla nel suo tailleur nero, saluta tutti, dice chiaro e tondo a Mike di non aver gradito, e se ne va.
La serata prosegue, e solo - pare - le parole del marito la convincono a tornare - torva, per carità - in scena. Ma preferisco pensare che in realtà siano state le minacce di dover pagare una salata penale, oppure un piccolo rialzo del cachet, da parte di quel gran furbastro di Del Noce. Con la Rai già messa così male, meglio non rischiare la poltrona adesso.

domenica 16 settembre 2007

Bruce "Magic" Springsteen


Ormai si sa da qualche settimana, ma comunque l'annuncio ufficiale di un nuovo disco di Bruce Springsteen con la E Street Band non mi ha certo lasciato indifferente.

Quando poi è stato possibile scaricare l'album (in qualità non eccelsa, va detto) dai meandri di internet, non ho saputo resistere.

E poi, il primo ascolto.

Un po' come venire al mondo.

Bè, il primo ascolto non mi ha entusiasmato, va detto. Non mi piaceva la produzione, non trovavo nuovi punti di riferimento e vedevo solo abbozzati quelli vecchi.

C'è da dire che noi springsteeniani di vecchia data siamo un attimino critici e perfezionisti, e quindi i primi commenti non sono mai buonisti.
Comunque sia, dopo il primo ascolto, ho confermato quello che già pensavo, ovvero "chissenefrega se il disco non è la fine del mondo, l'importante è vederlo dal vivo con la band".

Detto fatto, con un salasso mica da poco ma un grande sorriso stampato in faccia, mi sono procurato i biglietti per l'unica data italiana, il 28 novembre al Datchforum di Assago, e per quella di Parigi, il 17 dicembre al PalaiOmnisport di Bercy.

Nel frattempo, dopo un buono numero di ascolti, ho smontato in modo quasi sistematico il disco e, archiviate (nel senso: quando arrivano le skippo senza pensarci) quella o quelle due canzoni che proprio non mi piacciono, riesco a darne un voto del tutto sufficiente. E poi, sono convinto che da una parte il cd vero e proprio, con tutti i suoni al loro posto, e dall'altra le esibizioni dal vivo regaleranno il giusto spolvero ai brani.

Is there anybody alive out there?



lunedì 3 settembre 2007

Andiam, andiam, andiam a lavorar...

Eh, già.

Si torna dalle vacanze, agosto finisce in un batter d'occhio, e con settembre si torna anche a lavorare, o per lo meno bisogna fingere di farlo, mettendo da parte bermuda, tintarella e aperitivi estivi.

Come ho già avuto modo di dire, quest'anno, dopo secoli, sono andato in vacanza (e so già che l'estate prossima, complice il tour mondiale di Bruce Springsteen, salterò di nuovo), e per non saper nè leggere nè scrivere mi sono ritrovato un paio di giorni a Atene e poi una settimana a Rodi.

Come potete notare da questa fotina, che ritrae la Baia di Anthony Quinn, il mare è fantastico, di un blu pazzesco, pulitissimo in qualsiasi parte dell'isola.
La Baia in questione, tra l'altro, è più unica che rara, senza spiaggia ma con delle rocce stupende, e può essere visitata al massimo da una cinquantina di persone per volta, il che la rende ancora più tranquilla e speciale.

L'isola è zeppa di spiagge bellissime e più o meno affollate, sia sabbiose che di ghiaia: in pratica, ce n'è per tutti i gusti.

Luogo completamente diverso è invece Prassonisi, praticamente una piccolissima lingua di terra, all'estremo sud dell'isola, che porta asduna minuscola penisoletta (disabitata).
La spiaggia è di sabbia, morbidissima, e tira un vento pazzesco, il che la rende il paradiso di chi pratica windsurf e kite.
Per raggiungerla abbiamo dovuto fare circa 80km sulle discutibili strade di Rodi, ma alla fine ne è valsa la pena, non credo che esistano altri posti del genere al mondo.

Dopo aver girato tutte le possibili spiagge e tutti i posti turistici o archeologicamente interessanti dell'isola, abbiamo deciso di passare l'ultimo giorno proprio nella città di Rodi. L'acropoli è pressochè inesistente, ma tutta la città vecchia - un labirinto - è molto carina e ospitale, e merita la visita.



La buona vecchia Plaka Ippokratous è un po' il cuore pulsante di tutta la vita notturna della città, lo snodo attraverso cui si passa un po' tutti, e intorno a cui ci si può sedere un momento a bere qualcosa.

Questo brevissimo tour fotografico non rende affatto giustizia alle bellezze dell'isola o alla settimana trascorsa là, ma è per lo meno un piccolo assaggio della mia Grecia 2007...

mercoledì 29 agosto 2007

In pace


Sono tornato poco fa dalle vacanze, ma di questo parlerò in un'altra occasione, magari domani.

Mentre ero via, a qualche migliaio di kilometri da casa, dalla famiglia, dagli amici (per me una vera e propria seconda famiglia) e da tutto quanto, è mancato il papà di due miei carissimi compagni di marachelle.

Non stava bene da tempo, ma sembrava che finalmente si fosse stabilizzato, e che almeno per un po' si potesse stare tranquilli.

E invece, patatrac.

Come sempre, non starò qui a fare moralismi, non è il caso e non sono la persona giusta.

Ma è una cosa che mi ha colpito molto, e che ancora adesso mi fa pensare parecchio. Per come era fatto, per la persona che era, per le tante serate passate in compagnia, per i discorsi, le chiacchierate, i racconti e via dicendo.

Di persone così non ce ne sono quasi più, e mi mancherà molto.

Quella che ho messo lassù è una delle poche foto che ho insieme a questo grande personaggio (io sono quello con la faccia da ebete sulla destra, ovviamente), in una serata di grande allegria in cui abbiamo anche fatto qualche schitarrata insieme, e non penso che si offenderebbe a rivedersi così, Stratocaster in braccio e sigaro in bocca, a suonare e cantare, anzi.

Ciao Carlo, sempre viva.

venerdì 17 agosto 2007

A fine agosto

Succedono cose strane, nel mondo.

Il sette volte campione del mondo di motociclismo Valentino Rossi (uno che ha vinto il titolo in quattro classi diverse: 125, 250, 500 e MotoGP, mica pizza e fichi) viene prima dipinto come playboy da strapazzo che passeggia ignudo in spiaggia con Elisabetta Canalis e poi come enorme evasore fiscale, e giustamente si difende usando come cassa di risonanza i maggiori tg nazionali, prima di far vedere quanto vale sul circuito di Brno.

Le più grandi Borse del mondo bruciano miliardi su miliardi, con la nostra Piazza Affari che chiude con un negativo di 3,45%.

Stephen King viene cacciato in malo modo (e poi richiamato) da una libreria di Sydney, per il peccatuccio di essersi fermato un attimo ad autografare i suoi libri senza essere riconosciuto.

Cose da pazzi.

E nel frattempo, per non saper nè leggere nè scrivere, io me ne vado in vacanza. Atene e Rodi, un bel giretto tra sole e monumenti. Ci vediamo il 28 agosto, gente!

martedì 14 agosto 2007

You had me at "hello"


Periodo strano, quest'estate.

Andate e ritorni, problemi, soluzioni, e, purtroppo, più di un amico a cui viene a mancare un parente, o comunque le cui condizioni non sono così buone.

E io, in tutto questo, che faccio?

Mi preparo per le vacanze, suono la chitarra, faccio baracca con gli amici, e, come di consueto, guardo un buon numero di film.

Con la differenza che, per motivi vari ed eventuali, mi sono buttato in un amarcord molto particolare, e mi sono rivisto cose come Vado a vivere da solo, con Jerry Calà e Grosso guaio a Chinatown - che non ha certo bisogno di presentazioni - ma anche pellicole come Giovani, carini e disoccupati, Prima dell'alba e, soprattutto, Jerry Maguire.

Quest'ultimo mi è sempre piaciuto, in modo particolare. E non tanto perchè ci sia una canzone di Bruce Springsteen, Secret Garden, o perchè, nonostante io sia un maschietto, mi siano quasi sempre piaciuti i film con Tom Cruise.

Mi piace l'idea. Mi piace il fatto che da un giorno all'altro tutto crolli addosso al protagonista, che continua ad andare avanti facendo quello in cui crede. Mi piace il fatto che in tutto questo riesca anche a trovare spazio per un unico, vero amico (Cuba Gooding Jr.). Mi piace il fatto che rinunci a tutto quello che era prima per sua moglie. Mi piace la tagline del poster originale, "The journey is everything", "Il viaggio è tutto", a significare che non è tanto quello che si trova alla fine del percorso l'importante, ma ciò che si prova durante.

Show me the money!

martedì 7 agosto 2007

Yippee-ki-yay, motherfucker

Ormai sono anni che guardo ogni sorta di telefilm americano, di cui sono appassionatissimo, direttamente in originale.
Inizialmente il motivo principale era quello che non avevo la minima voglia nè intenzione di aspettare i tempi biblici della Fox italiana, o ancora peggio dei signorotti di Mediaset e Sky, noti ai più per farci attendere anni prima di propinarci due puntate a botta, magari d'estate, magari cambiando la posizione in palinsesto a seconda di come si svegliano la mattina.

Ma poi la ragione vera è diventata un'altra.

Le voci. Il doppiaggio. L'adattamento.

L'attenzione che viene prestata ai serial è davvero minima, nonostante l'enorme successo che questi riscuotono in patria e che, lentamente, stanno cominciando ad avere anche da noi.

Al momento seguo Lost, Heroes, Prison Break, House MD e 24. Sembrano pochi, ma vi posso garantire che incastrarli nel corso della settimana, per mesi e mesi, senza perdere il filo, non è per niente facile.

Bè, a parte questo, vederli in originale è davvero un altro mondo. L'accento del sud di Sawyer in Lost, le varie parlate diverse degli eroi di Heroes (ho visto ieri la pubblicità di ciò che andrà in onda su Mediaset a settembre, la voce di Claire è orrenda), il tono basso e particolare di Scofield in Prison Break, la voce del tutto "americana" di House (l'attore è inglese) e il "yeah" caratteristico di Jack Bauer che risponde al telefono. Tutte cose che in italiano ci perdiamo, probabilmente perchè in quel momento gli adattatori erano in bagno, o avevano di meglio da fare.

Comunque sia, ormai quel problema non ce l'ho più: guardo il tutto direttamente in lingua originale, e quando prendo il dvd, sono liberissimo di continuare a guardarmelo così, con anche il beneficio del 5.1.

Detto questo, spesso mi riprometto anche di guardare i film in originale, ma poi la pigrizia prende il sopravvento, e quindi mi accascio davanti alle voci nostrane. Intendiamoci: i tempi del buon Ferruccio Amendola sono lontani, ma abbiamo ancora - per fortuna - un buon numero di doppiatori come si deve: Luca Ward, Pino Insegno, Tonino Accolla sono i primi nomi che mi vengono in mente, senza dimenticare le ottime "comparsate" di Giancarlo Giannini.

Ma non avevo la minima intenzione di aspettare gli insensati ritmi italici per guardare l'ultimo capitolo delle avventure di John McClane (in uscita il 26 ottobre da noi, fanalino di coda, probabilmente anche dopo l'Afghanistan) e il lungometraggio dei Simpson (credo settembre, ma posso sbagliarmi).
E così, grazie al buon vecchio muletto elettronico, mi sono messo sul divano e mi sono goduto i due filmoni, con tanto di voci originali e tutto il resto.

Live Free or Die Hard (o Die Hard 4.0, a piacimento) è un bel giocattolone da due ore piene, ritmo serrato, battute ironiche del buon vecchio Bruce Willis come se piovesse e ogni genere di mezzo distrutto: auto, moto, aerei, camion e via dicendo.
Qualche dubbio ce l'avevo, va detto. Ma, a parte un inizio un po' macchinoso, ogni sospetto viene fugato, e ci sta anche un bel plauso finale, visto che il film non sfigura davanti ai suoi tre predecessori, anzi.

The Simpsons Movie si presenta per quello che è: una superpuntatona da un'ora e venti circa, messa insieme da ben 11 sceneggiatori, e del tutto godibile, con gag buone e talvolta ottime (una su tutte quella dello Spider-Pig, eccelsa), un buon ritmo e una trama che riesce a reggere la durata della pellicola. Forse non siamo più davanti ai Simpson taglienti e cattivi degli inizi, ma il prodotto è comunque buono, e non ci si può lamentare. Un po' mi è spiaciuto guardare Homer senza la voce ormai familiare di Tonino Accolla, ma il buon Dan Castellaneta fa il suo bravo lavoro, e deposita sulle spalle del capofamiglia giallo quasi tutto il peso del film.

That's all, folks.

domenica 5 agosto 2007

Figli di Achille


Ieri mattina, alle 8.38, squilla il telefono. Di casa.

Ora, chi mi conosce sa che il sabato e la domenica mattina, soprattutto d'estate, non esistono. Al limite, forniscono quel po' di sonno e riposo necessario ad affrontare il day after e una nuova serata.

Quindi la cosa era davvero strana.

Non mi alzo in tempo, arrivo qualche secondo troppo tardi.

Guardo il numero. E' quello della mia morosa. Di casa.

Non poteva essere nulla di buono, non era mai successo che mi chiamasse a un'ora del genere di un giorno del genere.

E infatti, era appena mancata sua nonna.

Ora, al di là del fatto che già di per sè una notizia del genere non sia bella, riceverla di mattina presto, mentre si cerca di affrontare i postumi di una notte brava, regala un quadro della situazione grottesco, disarmante e abbastanza scomodo.

Non voglio perdermi in moralismi, non dirò cose come "la morte è brutta" o "sono sempre i migliori che se ne vanno per primi". Nè mi perderò in elogi e plausi della persona in sè: la conoscevo, certo, e mi stava anche simpatica (oltre ad essere un'ottima cuoca), ma non è questo il luogo nè il tempo di parlarne.

Ho un pessimo rapporto con la morte. Con la vecchiaia, le malattie, gli ospedali, la dipartita, i funerali, le ovvietà che ci si scambia nel tentativo di mettere in fila tre parole che potrebbero anche essere tralasciate.

Forse penso che un uomo debba vivere fino al massimo del suo splendore, non lo so. Forse in realtà non sopporto l'idea di perdere colpi piano piano, fino all'inevitabile fine, e quindi proietto questo pensiero sugli altri.

Non ne ho idea, ma sta di fatto che ho un pessimo rapporto con la morte. E' proprio una delle cose con cui riesco a dialogare molto difficilmente, e quindi, potendo, evito.

Quando è morta l'ultima nonna che mi era rimasta, non sono andato in ospedale a trovarla, e non sono nemmeno andato al funerale. Non mi importa nulla di cosa possano aver detto gli altri parenti, ma forse tornando indietro mi comporterei diversamente. O forse no, chi lo sa.

Non sono una persona paziente. Se potessi scegliere, preferirei una vita breve e gloriosa, piuttosto che lunga e tranquilla.

Proprio come Achille.